CARTINA TORNASOLE

Il Deltone, la Regina, l’Ammazza giganti, sua Maestà… chiamatela con il soprannome che volete ma scrivere di una Lancia Delta HF Integrale è sempre un bel casino, soprattutto in un periodo dove fra gli appassionati vi sono due distinte fazioni così violente che in confronto la faida tra Guelfi e Ghibellini è sembrata una zuffa fra bambini. Da un lato abbiamo chi considera la Delta praticamente una religione, qualcosa di inarrivabile o mistico, e se ne parlate male potreste ritrovarvi malmenati, percossi e rinchiusi per sempre nel baule di una Fiat Stilo Station Wagon (una tortura disumana), mentre dall’altro c’è chi vede tutte queste lodi inutili e fuori luogo quanto una Lada Niva a Santa Pod. Finalmente è arrivata la mia occasione per capire chi abbia ragione e chi torto. Con questa noiosa diatriba in testa punto la sveglia presto domenica mattina per raggiungere uno sperduto paesino verso Cremona, dove io e un paio di amici (una Delta attira sempre pubblico) troveremo la giallissima Evo 1 della prova. Fra un campo e l’altro il navigatore ci porta in un borghetto rurale molto caratteristico e dopo aver azzeccato la via rimaniamo tutti e tre in rigoroso silenzio ad ammirare la Delta che ci appare davanti all’improvviso: non ci sono molti modi per descrivere la carrozzeria di una Evo 1… è pornografia pura. Sul serio.

La carreggiata pare larga quanto l’intero paese e la fiancata è così gonfia che sembra scoppiata dall’interno, come se qualcuno avesse cercato di strappare a mano i passaruota e avesse rifornito la Delta HF 4WD di steroidi, ma di quelli pesanti. Fatta eccezione per i fari e il tappo del serbatoio non troverete nemmeno per sbaglio un tratto dolce o morbido ma solo linee tese, tirate, taglienti per ottenere una delle carrozzerie più muscolose e arroganti in circolazione. Aggiungete i meravigliosi Montecarlo da 17 pollici – d’obbligo – e lo scintillante Giallo Ferrari e poche cose attireranno gli sguardi come questa Evo 1; forse Melanie Iglesias in shorts, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Quando i battiti cardiaci tornano entro la soglia di sicurezza diamo uno sguardo più tranquillo a questo esemplare: oltre ad essere stata completamente riportata allo stato originale e risistemata – motore compreso – questa Evo 1 è una delle sole 400 esistenti verniciate in Giallo Ferrari, con sedili Recaro in pelle anziché Alcantara e un terminale Imasaf in edizione limitata appositamente creato per la Evo 1. Dopo aver gentilmente requisito il cortile di una splendida cascina per il servizio fotografico immortalo quei nemmeno quattro metri di leggenda, ancora sbalordito dall’impatto scenografico che riescono ad avere sulle nostre volubili anime, ancora più instabili quando ricordano lo status di Icona che la HF si è guadagnata nei rally vincendo il Campionato del Mondo per ben sei anni di fila, dal 1987 al 1992.

Insomma, contando la Fulvia, la Stratos, la 037 e la S4 non è che Lancia abbia proprio un curriculum scarso nel costruire vetture da fibrillazione, eppure tutto il polverone che inneggiava a “Eeeh ma il Deltone” mi aveva quasi prevenuto nei riguardi della Evo 1. Così mi avvicino alla portiera del guidatore portando con me tutta l’obiettività del mondo e ritrovandomi a fissare quei provocanti quadranti sfalsati che mostrano già segni di cattive intenzioni; dopotutto un’auto che già da ferma segna 20 km/h non può essere noiosa no? E difatti… . Il due litri si risveglia con un battito profondo, pulsante e vivo ma che per il momento cerca di mascherare il suo carattere incivile, compito tutt’altro che facile. I primi minuti li passo sperando di non perdere qualche pezzo di carrozzeria visto che l’asfalto di queste zone non è esattamente svizzero e la Delta assorbe le sconnessioni con la stessa grazia con la quale un pugile potrebbe massaggiarvi la faccia, ma appena arrivo in un tratto più ampio e ricco di curve inspiro, affondo il pedale del gas e… resto stregato. Dico così non perché io sia un altro tizio abbagliato dal mito del Deltone – visto che di seguire le correnti di pensiero degli altri non me ne è mai fregato nulla – ma perché quest’auto è dannatamente buona. Sbalorditiva in realtà. Il motore conserva i 210 cavalli originali ma una messa a punto eseguita da uno specialista di Maranello ha dato come risultato un’erogazione fantastica: la spinta è da vecchia scuola con una dose buona e giusta di turbolag ma già dai 2.500 giri il turbocompressore si risveglia e dai 3.000 in su i 13 quintali della Delta decollano letteralmente; se non mi avessero giurato che il motore è originale penserei di avere almeno 30/40 cavalli in più.

La rapportatura è perfetta e anche il cambio è meglio del previsto: la leva ha un po’ di gioco e una corsa abbastanza lunga, ma anche se la sua azione è più gommosa e ben lontana dalla meccanicità pura di una Honda Integra Type R sentite esattamente quando avviene l’innesto, senza un impuntamento né a salire né soprattutto a scalare, dove il punta tacco (vista la pedaliera fatta apposta) è obbligatorio e il sound della pop off e quello brutale dello scarico vi fanno sentire in prova speciale. Mentre la lancetta del tachimetro comincia a fare un giro di 180 gradi la Evo 1 continua a sfoggiare prestazioni che fatico ad associare al 1992 anziché ad una hot hatch moderna e con un livello di tenuta impressionante. L’assetto riprende esattamente le forme della carrozzeria: è quadrato, postato a terra e riuscite a sentirne perfettamente ogni estremità. Con una carreggiata così larga, una trazione integrale efficacissima e la spalla delle gomme così bassa il rollio è veramente ridotto, e la precisione e il livello di fiducia che vi trasmette sono tali da aver fatto un paio di curve a *velocità non riportabile* fregandomene che il punto di corda fosse praticamente nell’erba. Non mi sentivo così connesso ad un’auto da parecchio tempo. 

Lo sterzo è sottile e fantastico da impugnare, oltre a fornire un gran feeling (ma non eccezionale) dell’anteriore mentre la trazione integrale si aggrappa all’asfalto facendovi percepire tutto il lavoro dei differenziali che cercano di mantenervi in traiettoria. La ripartizione della coppia 47/53 fra gli assi infatti è un’ottima soluzione anche se arrivati al limite è comunque il sottosterzo il primo a fare la sua comparsa, incalzato dalla rabbiosa erogazione del turbocompressore quando state uscendo di curva a 4/5.000 giri; mi sto aggrappando però ad inezie visto che per arrivare a quel punto dovete veramente mantenere una guida illegale. Con un sound, una foga e un passo simili la Delta dall’esterno deve sembrare come un missile giallo che attraversa la campagna e per fermarla fortunatamente posso contare su un impianto sorprendente per essere degli anni ’90: il pedale è fermo, persino potente e senza la corsa lunga che caratterizza altre sportive della stessa epoca, ergo potete modularlo facilmente – anche col sinistro per restare in tema rally – buttando la Evo 1 in curva con intenzione, e non perché stiate facendo il drittone della vita. Saranno le particolari condizioni di questo esemplare, sarà che sono davvero soddisfatto di come sto guidando o il fatto che il giallo sia uno dei miei colori preferiti ma quando – Sigh – scendo dalla Delta sono seriamente impressionato: non tante auto mi hanno emozionato e coinvolto in maniera simile.

A parte le prestazioni di assoluto rispetto ancora oggi e l’estetica che spicca come un incendio nel deserto vi innamorate della Evo 1 perché è viva, comunicativa, senza filtri inutili fra voi e lei. Potessi cambiare un paio di cose vorrei una seduta ancora più bassa con dei sedili meno aperti, e far sì che venisse ripartita più coppia al posteriore (ad esempio un 40/60 almeno) in maniera da ridurre il sottosterzo e chiudere la traiettoria sfruttando di più il retro, ma mi sto proprio impuntando su piccolezze. Alcuni osannano la Delta come se avesse dato loro la vita e altri la disprezzano per andare controcorrente, a me interessa solo il fatto che guidarla mi abbia emozionato dal momento in cui sono partito a quello in cui mi sono fermato. Punto.

Complimenti a Paolo (e grazie) per questa magnifica Evo 1

di Tommaso Ferrari