UN TAVOLO PER DUE, GRAZIE
Dopotutto, a cosa serve avere dei sedili posteriori? Se volete spremere la vostra sportiva sulla strada giusta due persone al retro sono inutili e dannose quanto una pizza senza mozzarella, perché vi trovereste con più peso, minor agilità, qualità dinamica compromessa, meno visibilità posteriore, freni più sofferenti etc etc etc… o almeno queste sono le scuse più o meno fondate che usereste per abbandonare a bordo strada i vostri amici. In compenso vi rimane il sedile del passeggero per accogliere una bella fanciulla, a meno che non sia impressionabile e vi dica di odiarvi dal momento stesso in cui schiacciate l’acceleratore a quello in cui non vi date una calmata. Anche il discorso spesa non fa una piega: senza il divanetto posteriore potrete caricare talmente tanto cibo, riviste, Michelin Cup 2 – e mazzi di fiori per scusarvi – che un vecchio Transit potrà solo che annuire ammirato. Scommetto che alla Mini avranno pensato ESATTAMENTE a queste cose prima di togliere i sedili posteriori alla Mini JCW per creare la GP. La prima versione della piccola ‘track – oriented hot hatch’ uscì ben 14 anni fa e lasciò tanti di stucco: d’accordo, esisteva già la pepata John Cooper Works ma qualcosa di così estremo, ignorante e dedito alle pure performance ce lo saremmo atteso da Renault (vedi la folle Megàne R26R) e non da una casa nota per le sue macchine carine, alla moda e chic.
Qualche anno dopo – nel 2013 – venne svelata la Mini John Cooper Works GP kit 2, l’erede della GP 1 che aveva cestinato il compressore volumetrico per un 1.6 litri turbocompresso che portava la potenza da 218 cavalli a… esattamente 218 cavalli. Oltre a questo cambiamento estetica e meccanica subivano interventi radicali rispetto alla JCW standard: neanche dopo mezza bottiglia di Whiskey in una notte senza luna avreste potuto confondere la GP con una Mini normale. Disponibile con carrozzeria verniciata unicamente in Thunder Grey Metallic la GP 2 sfoggia cerchi specifici a quattro razze, strisce nere, grigie e rosse con scritte GP così come attorno alla presa d’aria sul cofano, dettagli rossi fra griglia anteriore, specchietti e pinze freno e un fantastico alettone in (vero) carbonio. Le modifiche più sostanziali invece riguardano l’assetto che scende di 20 mm davanti e 15 mm dietro, sospensioni regolabili, gomme specifiche Kumho, cambio a sei marce esclusivamente manuale, sedili Recaro, differenziale EDLC a controllo elettronico (l’autobloccante meccanico è stato accantonato), freni Brembo da 330 mm a sei pompanti all’anteriore, modalità ‘GP’ che elimina tutta l’elettronica come fosse erbaccia, 7 cavalli in più e ovviamente una bella barra rossa al posto dei sedili posteriori, il tutto prodotto in 2.000 esemplari nel mondo e 200 (ma pare anche meno) in Italia. Tutta questa cura a favore della pista ha trasformato la GP in un oggetto piuttosto speciale, soprattutto in un mondo di hot hatch velocissime ma spesso noiose e che osano poco (a parte la Megàne Trophy R che è fantastica ma che osa in maniera proporzionale al suo imbarazzante prezzo).
Già da guardare ispira simpatia, con quei contrasti accesi, l’alettone un po’ insolente, i passaruota belli pieni e quel tipico look delle auto che vogliono farvi capire subito di non essere qua a collezionare bustine da zucchero e francobolli ma per farvi divertire su una strada tortuosa. Altra cosa davvero apprezzabile è che la GP 2 non è come il nuovo modello di Mini – cioè grasso e ingombrante – ma conserva ancora un peso accettabile, intorno ai 1.200 chili, circa una cinquantina in meno della JCW grazie alla dieta fai da te. Ergo, al volante la si percepisce agile, diretta, felice di essere strapazzata, e soprattutto veloce. Il percorso scelto è noto per essere tremendamente divertente con un versante tutto rettilinei e tornanti da seconda ed un altro più tecnico, ma specialmente nella prima parte dove si riesce ad allungare quell’1.6 litri è davvero pieno di foga: che siate in terza o quarta la coppia non manca mai e i 218 cavalli risultano quasi sottostimati; fra l’altro la progressione dei giri è incredibilmente lineare senza un turbolag vecchia scuola ma con solo la sensazione di una morbida e incessante spinta fin sopra i 6.000 giri. Il sound non è un urlo acuto ma una specie di profondo e fortissimo soffio dietro le vostre orecchie man mano che spingete, non pulito o puro ma parecchio sportivo, specialmente quando sentite la GP accelerare dall’esterno; quando poi il terminale si scalda come si deve inizia a scoppiettare allegramente, specialmente a bassi giri e non in maniera teatrale come una RS3 ma con dei piccoli ed educati colpi di tosse che però vi mettono di buon umore.
Una delle sorprese più grandi e gradite è stato (onestamente non me l’aspettavo) il cambio: quel pomello rosso non ha una corsa cortissima ma la leva è brillante, rapidissima e dolce negli innesti, come se i sincronizzatori fossero premurosi e pazienti con il vostro stile di guida e accettassero qualunque regime di cambiata. Buttate dentro una seconda a seimila giri e la leva continuerà a essere delicata e leggera senza un impuntamento neanche di proposito, giusto per assicurarvi di non sprecare più tempo del dovuto in questioni futili come cambiare marcia. Più si sale lungo la cima del passo più la GP diventa rapida con uno sterzo preciso, ben demoltiplicato e senza punti morti, una pedaliera niente male (la frizione potrebbe attaccare prima ma l’acceleratore incernierato in basso è comodissimo per il punta tacco) e un differenziale elettronico ben tarato. Invece di uscire dai tornanti in una nuvola di fumo o con il motore al limitatore e voi fermi l’EDLC frena dolcemente la ruota interna ma anche qui in maniera controllata e discreta, non con dei tagli di potenza che vi fan pensare a qualcosa di irreparabile successo al quattro cilindri.
Quello che un po’ mi ha perplesso sono state le sospensioni e il telaio: a bassa andatura la GP è fin troppo rigida ma più andate veloci più sembra che gli ammortizzatori si ammorbidiscano e bevano con nonchalance buche e compressioni (ottima scusa per tirare) ma la cosa difficile è scomporla; anche entrando aggressivi in curva o staccando in percorrenza la GP resta stabilissima al posteriore, un po’ troppo in realtà per eccitarvi calcolando che tutti i controlli erano disattivati. Inoltre – nonostante fosse davvero ma davvero veloce a macinare quel percorso – non riuscivo ad avere completa fiducia nella tenuta laterale, tuttavia so benissimo a chi dare la colpa: alle gomme. Questa GP infatti non monta le sue Kumho ma temporaneamente calza delle Hankook non troppo specializzate che ammorbidiscono il carattere della Mini e anche i suoi limiti; con delle semi slick serie sicuramente diventerebbe ancora più veloce e meno neutra. L’unico dettaglio che non mi ha colpito davvero sono stati i freni, potenti ma con un ABS troppo invasivo e una corsa poco modulabile dato che nella prima parte non succede granché per poi attaccare di colpo. Nulla però toglie alla GP di essere una compatta velocissima, piccola e scattante con un cambio coinvolgente e un’agilità e un motore notevoli, oltre ad essere rara e sufficientemente intelligente da concentrarsi sulle cose serie. Non prendete una Mini GP per sfoggiarla all’aperitivo o per il suo infotainment che sa fare persino gli origami ma la comprate perché è così coraggiosa da disfarsi dei sedili posteriori pur di aumentare il vostro divertimento in pista e in strada. Tranquilli, i vostri amici capiranno.
Un grazie ad Antonio per la sua Mini GP
di Tommaso Ferrari