BALLET

 

Mi sono invaghito di brutto di questa piccola coupé che segnò il mondo delle corse e che ancora una volta ha dimostrato il valore della passione e della competenza italiane

Lo so, lo so, è un’introduzione un po’ banale ma ogni volta che penso alla sigla ‘GTA’ mi stupisco dell’effetto che tre semplici lettere dell’alfabeto possano avere sui nostri sensibili cuori. E’ un po’ come la dicitura ‘GTO’ per Ferrari o ‘RS’ (o ancora meglio ‘R’) per Porsche: acronimi che simboleggiano da decenni il meglio che i due brand possano offrire sia in termini di prestazioni che di esclusività, per non parlare delle sensazioni dietro al volante. Pochi caratteri apparentemente ordinari che nel tempo acquisiscono un peso e un valore giganteschi nelle nostre menti, abituate ormai ad associarli a design seducenti, motori incredibili e ad un passato così denso di significato da mettere in soggezione. Casualmente entrambe le sigle (Gran Turismo Omologata e RennSport) rimandano al mondo delle competizioni, e sempre ‘casualmente’ anche GTA – Gran Turismo Alleggerita – affonda le sue radici nel Motorsport più puro. E’ qui che le nostre tre lettere inizieranno a costruire la propria storia… e questa, signore e signori, è una gran bella storia. Nel 1951 Alfa Romeo si ritira dalle competizioni dopo aver vinto nuovamente il titolo mondiale di F1 con il fenomenale Fangio, lasciando un enorme vuoto sulle griglie di partenza di tutto il mondo e nel cuore di centinaia di migliaia di appassionati. I motivi sono principalmente economici e gestionali, così nonostante l’enorme successo e potenziale della categoria Turismo all’inizio degli anni ’60 la casa di Arese resta ferma sulla propria idea, impegnata a commercializzare le varie versioni della Giulietta prima e della Giulia poi, peraltro protagoniste in molte gare tramite officine private. Nel 1963 però, miracolo: l’ex progettista Alfa e Ferrari Carlo Chiti e Lodovico Chizzola (ex concessionario Alfa) fondano l’Autodelta, azienda che in via ufficiosa si propone di far tornare a correre – e vincere – le vetture del Biscione.

Con il crescere della fama della società – in primis grazie ai successi della TZ1 e TZ2 – l’Alfa non può più ignorarne la presenza e a metà del ’64 concede maggior libertà d’azione e la possibilità di creare prototipi e elaborare motori in via ufficiale. Si capisce già dove si andrà a parare, infatti nel 1966 l’Autodelta viene messa in liquidazione per dare direttamente vita al nuovo reparto corse Alfa Romeo. In realtà le cose si muovevano da tempo dietro le quinte: la Giulia TI Super che dominò il panorama motoristico del ’62 e del ’63 – grazie anche a Chiti – aveva riacceso la concorrenza che si riaffaccia più agguerrita che mai, così già nel ’64 l’Alfa chiede lumi all’Autodelta. Come soluzione si sceglie di creare una nuova vettura da corsa, derivata dalla più slanciata e leggera Giulia GT Sprint aggirando un piccolo problema regolamentare che contestava l’insufficiente spazio a bordo. Quel furbone di Chiti sostituisce i sedili posteriori – comunque richiedibili come optional – con una sottile panchetta che permette di recuperare preziosi centimetri in abitabilità, ottenendo una perfetta ‘base’ che diventerà leggendaria su circuiti e salite di tutto il mondo. Il risultato è talmente eclatante da essere noto anche ai sassi e prende il nome di Alfa Romeo Giulia Sprint GTA, una meravigliosa coupé con un aspetto aggraziato e due fari che paiono grandi occhi languidi pronti a sedurvi. Il motore è un 1.6 litri bialbero con bielle e pistoni rivisti, valvole maggiorate, doppia accensione e carburatori Weber da 45 capace di 115 cavalli, mentre il peso della GTA cala di oltre 200 chili rispetto alla versione di serie grazie a soluzioni drastiche come i finestrini in plexiglass, la rimozione dell’antirombo e la scocca in acciaio rivettata ad una carrozzeria in Peraluman, una particolare lega di alluminio e magnesio.

Il volante Hellebore in legno è ripreso dalla TZ, la coppa dell’olio è maggiorata e la scatola del differenziale ZF, la campana del cambio e i cerchi Campagnolo sono realizzati in Elektron, che non è un nuovo supereroe Marvel bensì un’altra lega speciale a base di magnesio (circa il 90%), zinco e manganese. Le versioni da corsa preparate dall’Autodelta superano addirittura i 170 cavalli, e la GTA al suo debutto – avvenuto alla Trento-Bondone del 1965 – vince. Da lì in poi la Giulia macina vittorie: domina per tre anni il campionato Turismo, vince la 4 Ore di Monza, la 6 Ore del Nurburgring, il GP di Zandvoort e una miriade di altre gare su pista o in salita. Nel 1968 viene presentata l’erede della 1.600, la Giulia GTA 1300 Junior con cilindrata ridotta a 1.290 cc, adesivi diversi (una linea e un quadrifoglio sulla fiancata e un biscione sul cofano), un peso a secco leggermente maggiore – i cerchi ad esempio restano in acciaio – ma la stessa capacità di essere imprendibile in gara. La GTA 1300 ha 96 cavalli in versione stradale e persino 180 (!) nelle ultime versioni da competizione che mandano in rovina gli allibratori: tutti scommettono su di lei, e tutti vincono perché Lei continua a vincere. La piccola Alfa conquista due titoli di fila nel campionato europeo Turismo, la Coupe des Alpes, la 4 Ore di Jarama (peraltro battendo le molto più potenti Capri RS 3100) e svariate vittorie al Nurburgring, a Monza, Silverstone, Spa e via dicendo. Rispettando l’adagio “Win on Sunday, sell on Monday” vengono vendute paccate di Giulia Sprint, non di GTA però: Alfa produrrà solamente 447 esemplari di 1300 Junior in versione Gran Turismo Alleggerita, e il meraviglioso esemplare in fotografia è proprio uno di essi. La GTA non è una di quelle auto che sfoggiano appendici aerodinamiche vistose o linee da fumetto per farsi notare dal mondo, lei è bella e basta.

E’ bella per la sua linea aggraziata e proporzionata, per il suo frontale incisivo e alleggerito e per quei velati dettagli racing che pochi estimatori possono cogliere; come una ragazza acqua e sapone che apparentemente non ha nulla di speciale, se non fosse che non riuscite a toglierle gli occhi di dosso. La ‘mia’ 1300 Junior è un esemplare del 1969 verniciato in un più raro bianco ‘Biancospino’ anziché nel classico Rosso Alfa, con livrea verde a contrasto e condizioni impeccabili: che ci crediate o no la verniciatura è conservata, così come gli interni che sono rimasti pari al nuovo e esibiscono persino il disco orario originale; solo la meccanica è stata leggermente rivista dalla Automobile Tricolore di Isorella che ha montato alberi a camme più ‘simpatici’ e tromboncini di aspirazione per raggiungere circa i 115 cavalli della versione 1.600. Nonostante il 1300 sia meno estremo della sorella maggiore il peso a secco riesce comunque a fermarsi a 795 chili mentre la cilindrata minore è spesso preferita perché permette regimi di rotazione più elevati. Quel che è certo è che non mi aspettavo si guidasse così bene. Dannatamente bene. Già accomodati nell’abitacolo avete buone sensazioni: i sedili sembrano troppo comodi per essere davvero sportivi invece vi stringono adeguatamente i fianchi, il bellissimo volante ha dimensioni fantastiche e tutto – dalla leva del cambio alla pedaliera – sembra ben posizionato. Giro la chiave nel quadro (a sinistra come sulle 911) e il quattro cilindri si anima con un ‘brap brap’ aggressivo e penetrante: il 2% di me dispiaciuto per l’aspirazione non originale viene cancellato come un’ombra a mezzogiorno, parteggiando immediatamente per quei tromboncini che fanno respirare a pieni polmoni i carburatori Weber. Ci sono auto capaci di conquistarvi e sembrare speciali anche in manovra, e la GTA è una di quelle.

Durante gli spostamenti per il servizio fotografico il mio subconscio pensava “che pedaliera ben fatta”, “il cambio sembra eccezionale”, “che sterzo delicato” e avanti così, ansioso di trovare un nastro d’asfalto per conoscere a fondo la piccola Alfa. Nonostante in questa zona della Lombardia qualunque cosa diversa da un rettilineo sia quasi un’utopia scoviamo alcuni chilometri conditi da rotonde, curve veloci e una bella superficie dove inizio a spingere – e ad amare – il 1.300 bialbero. Meno di 120 cavalli possono sembrare pochi, ma non quando avete 795 chili da muovere e un’erogazione pronta e vivace, spostata prevalentemente nella parte alta del contagiri. Mentre ai bassi infatti il quattro cilindri è fin troppo lineare, al passare dei 5.000 guadagna carattere e foga, dimostrando con fierezza le proprie origini corsaiole; il tutto accentuato dallo stupendo e tagliente gorgoglìo dei tromboncini di aspirazione che fanno aumentare il vostro sorriso insieme al regime del motore. La cosa che però evidenzia la grandezza della GTA è che il propulsore – per quanto squisito – passi quasi in secondo piano rispetto alle altre qualità. Il cambio non solo sembrava eccezionale… lo è proprio: la leva alta e reclinata verso di voi è un monumento all’ergonomia e gli innesti sono di una dolcezza e morbidezza sbalorditive; persino la corsa lunga non è un difetto visto che potete godere per più tempo della precisione di questa trasmissione. Le cambiate sono tattili, scivolano veloci e leggere, con un’accuratezza nell’inserimento e una spaziatura impeccabili: se questo cambio fosse una ricetta sarebbe a zero calorie, non so se mi spiego. Ero certo di dover piazzare un bel “ma” alla voce freni considerato che molti impianti degli anni ’60 non brillano per efficacia invece il pedale incernierato al pavimento ha un mordente notevole e una modulabilità davvero perfetta. Non immaginatevi un effetto da “faccia contro il parabrezza”, immaginatevi un pedale ben fermo, regolare e talmente trasparente da – se avete un po’ di tatto – permettervi staccate importanti appena prima del punto di bloccaggio.

Più guido e più la GTA mi impressiona, in particolare quando arrivo ad una sezione ricca di rotonde e curve veloci dove l’ennesimo pregio della 1300 Junior si fa notare come un incendio nella notte. E’ complicato da spiegare: nonostante lo sterzo Hellebore abbia un punto morto iniziale e una corona che non lascia trasparire tutte le informazioni che vorreste la GTA ha il rarissimo e incredibile pregio di raccontarvi a meraviglia l’anteriore, non tanto come stress delle gomme ma come infinita fiducia che potete accordargli in inserimento e percorrenza, dove l’Alfa sfoggia una tenuta e un bilanciamento ancora una volta stupefacenti. Vedete quasi materialmente il parziale spostamento di peso al retrotreno, che in uscita allarga in un delicatissimo traverso mentre restate come appesi all’anteriore, cristallino, solido e tanto preciso da sembrare una estensione delle vostre braccia o persino di voi stessi. Vi ritrovate dopo il punto di corda con un minimo angolo di controsterzo e un’agilità da ballerina classica, e soprattutto con tanta voglia di rifare quello che avete appena fatto per carpirne il segreto. E stiamo parlando di un’auto del 1969! E’ una sensazione difficile da descrivere che sottolinea quanto fosse meravigliosamente messo a punto il telaio, talmente comunicativo da lasciarvi disorientati. Questa esperienza senza filtri che la GTA vi offre è più unica che rara da trovare, una sorta di aurora boreale a Luglio; ora capisco come mai i piloti dell’epoca adorassero correre con lei.

A voler proprio fare i pignoli nei cambi di direzione il rollio è un po’ marcato, per il punta tacco bisogna adeguarsi all’acceleratore leggermente più in alto del freno e se fosse mia aggiungerei altri venti cavalli per giocare ancora meglio col telaio, ma mi sto arrampicando faticosamente sugli specchi perché la 1300 Junior oggi ha guadagnato l’ennesimo corteggiatore. Anzi, a conti fatti e mente fredda è finita che la GTA sia una delle migliori auto che abbia mai provato, classiche o moderne che siano. Una volta presa confidenza con la piccola Alfa avete in cambio una guida che si può solo descrivere come una danza, una emozionante danza di mani e piedi scandita dai tempi di un telaio raffinato e un motore entusiasmante. La GTA è un piacere da osservare, ha una storia affascinante e nel suo modo molto posato mi ha fatto capire che potrebbe rispedire sui banchi di scuola tante – troppe – sportive moderne grazie alle sue incantevoli doti. Riconsegno le chiavi quasi a malincuore (ok, togliete il quasi e mettete MOLTO), consapevole di aver provato qualcosa di speciale e sempre più in via di estinzione. Adesso devo solo trovare un casinò da svaligiare per comprarla, ma voi non avete letto nulla intesi?

 

 

Un grazie a Edoardo della Automobile Tricolore

di Tommaso Ferrari