AFFARI DI FAMIGLIA
Durante ASI in Pista ho provato un’Audi RS2 immacolata, mamma di tutte le RS. Non mi ha deluso.
La guardate di sfuggita, o in coda al semaforo, e non le date molto credito. Squadrata, vecchiotta e per di più familiare, quel rettangolo blu elettrico davanti a voi non sembra altro che una lenta e noiosa station wagon di ritorno dall’Esselunga. Solo che l’Audi RS2 Avant non è né lenta, né noiosa. Proprio no. Un occhio più attento si soffermerebbe sui loghi e sulle pinze che in piccolo recano la magica scritta Porsche, sull’assetto a filo o – sbriciando dal finestrino – sul tachimetro con fondoscala a 300 km/h subodorando qualcosa. E queste sono solo inezie rispetto a ciò che nasconde la prima RS Audi di sempre, costruita insieme a Porsche tra il 1994 e il 1995. Le cose sono andate più o meno in questa maniera, senza nemmeno parafrasare più di tanto. Ferdinand Piech (all’epoca AD Audi ed ex responsabile Porsche) desiderava costruire una familiare veloce, davvero veloce, così sollevò la cornetta e fece una telefonata dalle parti di Stoccarda: “Ehi Porsche, ricordate chi vi aiutò a produrre la 924 e la 944, nel nostro stabilimento Audi? Bene, ora dovreste restituirmi il favore”. Ed ecco che l’impianto di Rossle-Bau, dove nacque anche la Porsche 959, comincia a sfornare qualcosa di terribilmente inappropriato, una sportiva con un capiente baule, spazio per cinque persone e prestazioni da hot hatch moderna. La RS2 viene sviluppata sulla base dell’Audi 80 Avant sfruttando il motore della S2 coupé, rimaneggiato dalle sapienti mani che crearono la 911: turbina più voluminosa con pressione innalzata a 1.4 bar, intercooler maggiorato, nuove camme e scarico, Ecu Bosch e un robusto cambio a sei marce.
Il 2.2 litri cinque cilindri arriva ad erogare 315 cavalli con 410 Nm e grazie alla trazione Quattro per strada non c’è nulla che passi da 0 a 50 km/h in meno tempo, McLaren F1 compresa. Un piccolo traguardo, ma fa capire quanto sia rapida la RS2. Lo 0-100 è coperto in 4,8 secondi, poco importa se il dato dichiarato ufficialmente sia di 5,4 secondi per imbarazzare il minor numero di Porsche possibile… . La carrozzeria in Nogaro Blue è relativamente semplice, esaltata da dettagli ripresi dalla 964 o dalla 993 come gli specchietti, i bellissimi cerchi ‘Cup’ da 17 pollici, gli indicatori e i freni; non troppo vistosi ma significativi i fregi che affiancano la sigla ‘RennSport’ (RS) alla scritta Porsche. Gli interni sono discreti come l’esterno, serve una lunga occhiata indagatrice per scovare le parti succulente. I sobri e avvolgenti sedili Recaro ad esempio, o i manometri aggiuntivi, il sopracitato tachimetro o ancora il sottile e sportivo volante a tre razze.
I dettagli che prediligo, senza ombra di dubbio, sono gli inserti in fibra di carbonio impreziositi da filamenti blu nella trama, davvero magnifici. Ve li aspettate su una Jaguar XJ220, non nell’abitacolo di una paciosa familiare. Volendo si poteva optare per la radica al posto del carbonio, sinceramente come se vi chiedessero di scegliere tra tiramisù e asparagi. Per capire se questa collaborazione tedesca abbia dato buoni frutti avvio il cinque cilindri e mi dirigo verso una delle mie strade preferite, un nastro d’asfalto che dall’autodromo di Varano corre a sud verso Solignano, alternando tratti immersi nel bosco ad altri apertissimi e panoramici. L’autunno inoltrato tinge tutto di colori caldi e dorati, facendo sembrare le fronde degli alberi la tavolozza di Gustav Klimt. A bordo della RS2 la posizione di guida è un po’ strana, il volante ha un’impugnatura perfetta mentre le ginocchia restano troppo elevate e la frizione ha un che di scostante; mi ci vuole qualche chilometro per farci l’abitudine.
Qui non ci sono tornanti stretti, la maggior parte delle curve può essere percorsa in seconda piena con lunghi tratti da terza o, ad essere coraggiosi, persino da quarta, la combinazione ideale per una sportiva pensata per portarsi appresso cani e pargoletti vari. L’asfalto ahimè è tutto tranne che svizzero, alcune zone sono grezze come sulla vecchia Cisa, con dislivelli preoccupanti causati da radici e intemperie. Un problema relativo, visto che la RS2 si beve tutte le increspature come fossero Barolo d’annata. L’assetto ribassato di 40 mm difatti è prevalentemente morbido, conservando la comodità che vi aspettereste da una familiare. Questo set up sacrifica la rigidità in curva e lascia una marcata dose di rollio, anche se la cosa mi disturba meno del previsto. Alla fine dei conti non sono alla guida di una Ariel Atom e solamente in un paio di punti davvero mal ridotti rimpiango degli ammortizzatori più duri e resistenti alla compressione, arrivando a ‘spanciare’ a fine corsa. Il motore, quello sì che non mi disturba per nulla. Il cinque cilindri ha un turbolag pura vecchia scuola: in basso la girante è sonnolenta e non vuole essere seccata, fa giusto giusto il suo dovere e forse anche di meno, ma arrivati a 3.600/3.700 giri… woah! Il turbocompressore si risveglia, il posteriore si acquatta vistosamente e la testa viene pressata contro il poggiatesta in pelle. Non mi aspettavo una tale foga, tanto più che tra peso a secco di 1.600 chili e tre persone a bordo la RS2 conta più di diciotto quintali. Il sound del cinque cilindri inizia a farsi più penetrante e minaccioso senza diventare mai prepotente, accompagnato dai soffocati gorgoglii e risucchi della turbina.
Butto l’avantreno della RS2 in curva e di ritorno ho delle sensazioni molto genuine, chiare, mai confuse. Il sottosterzo non è – al contrario di quanto si penserebbe – predominante, il grip è spalmato magistralmente tra anteriore e posteriore con una trazione formidabile, persino quando incontro tratti ancora umidi e con delle normalissime Michelin Pilot Sport 3. Il cambio a sei marce è duretto, gli innesti sono precisi e solidi ma in scalata preferisco far sempre il puntatacco o la doppietta per rendere l’azione della leva più sciolta e agevole. Quasi in cima alla collina il panorama si apre improvvisamente, una macchia rossa e gialla divisa in lontananza da una striscia nera che pare ancora più eccitante di quella appena percorsa. Maledico il fatto di non aver più tempo per gli scatti visto il paesaggio bucolico, ma preferisco continuare a estrapolare il meglio che posso dalla RS2, con Marco e Ines (i proprietari) sempre più raggianti alle mie spalle.
Con questa nuova sequenza di asfalto davanti al muso ho la conferma del pregio più grande della RS2: la sua scorrevolezza, la capacità di uniformare tutti gli input del volante e dell’avantreno per raccordare in maniera delicata e leggera le curve. Sto andando piuttosto forte, eppure mi sembra di avere tutto il tempo del mondo per frenare, scalare, impostare la sterzata e mandare in pressione la turbina facendomi trascinare fuori dalla trazione Quattro. Curva successiva, processo ripetuto, e così via. Marco mi chiede gentilmente di fare qualche giro di pista a Varano, ma so che mi farei prendere troppo la mano stressando eccessivamente i freni. Il pedale non vanta una corsa molto uniforme, e per quanto il mordente sia abbastanza buono e discretamente efficace su strada, in pista temo si rivelerebbe insidioso. E poi qui mi sto divertendo molto di più! Anche tentando di provocare la RS2 retro o anteriore non si scompongono particolarmente, e guidando puliti ricevete in cambio un passo da compatta sportiva, non da vetusta station.
Il ritorno in autodromo – eccezion fatta per qualche tratto impossibile da far piano – è più tranquillo, prendo tempo per assaporare il lato comodo della grossa Audi raffreddando nel frattempo liquidi e dischi. E’ stato bello provare in maniera approfondita una vettura così rilevante per la categoria, station più veloce dell’epoca (262 km/h di punta) nonché mamma di tutte le RS a venire. La trazione e il grip omogeneo e cristallino mi hanno stupito, e ancor di più il carattere di quel rauco cinque cilindri turbocompresso impacchettato in una spaziosa e pratica carrozzeria familiare, combinazione che non smetterò mai di trovare irresistibile. L’assetto morbido intaccato dall’elevato rollio e il lag non hanno rovinato l’esperienza di guida, esaltata da una strada che spero di ripercorrere a breve. A voler essere pignoli terrei su uno scaffale lo scarico originale cambiandolo con uno più arrogante, per esaltare il timbro unico del cinque in linea. La RS2 oggi esige parecchi dei vostri soldi, specialmente per un esemplare ben tenuto come questo. Inoltre è abbastanza rara: inizialmente dovevano esserne costruite 2226, come i cc della cilindrata, ma la richiesta fu così alta che la produzione arrivò a 2891 esemplari, un numero comunque ridotto. Una RS4 o una RS6 moderne hanno prestazioni decisamente più impressionanti, addirittura mostruose per una familiare, ma hanno perso quell’aspetto da ‘sleeper’ tanto caratteristico nella RS2. Ora lo sapete: se vi ritroverete al semaforo accanto ad una squadrata station blu anni ‘90 carica di borse della spesa datele strada, a meno che non siate a bordo di qualcosa di maledettamente rapido. Siete avvisati.
Un ringraziamento a Marco e Ines
di Tommaso Ferrari