PARCO GIOCHI
Tre compatte sportive degli anni ’80 che incarnano il semplice e spensierato divertimento alla guida. Una più seria, una più fisica e una più ignorante, tutte e tre esilaranti
Sera tarda, musica anni ’80 dalle casse, scarico che fa le fusa in scalata e un vivido cruscotto digitale che all’epoca doveva farvi sentire praticamente Michael Knight in Supercar. Che atmosfera! I quattro fari della GTI stanno fendendo il buio in cerca del prossimo punto di corda, con il corposo quattro cilindri che stressa le gomme ad ogni uscita di curva lasciando dietro sé solo benzina e decibel. Niente fronzoli, niente controlli elettronici o infotainment a distrarmi dalla guida: un tempo il necessario per emozionarsi erano semplicemente un volante, tre pedali e un pacchetto meccanico competente. La Golf GTI mk2 di queste immagini mi ha fatto compagnia un paio di giorni e per tutte e quarantotto le ore insieme ho finto di essere tornato nel lontano 1987, quando non esisteva Internet, non esistevano i social o questo triste esibizionismo digitale e soprattutto quando si era ben lontani dal rischiare di guidare noiosi elettrodomestici con le ruote. In breve, in quei tempi le auto erano più coinvolgenti e si passava più tempo a godersele. La Golf non sarà l’esempio di sportiva più raffinato del periodo eppure ha un grande, enorme merito: ha inventato la categoria delle hot hatch, è stata lei – o meglio, la sua antenata mk1 – ad innescare quel meccanismo a cascata che negli anni ci ha regalato decine di fantastiche compatte sportive. Nel 1974 l’ingegnere Volkswagen Alfons Lowenberg riconosce le potenzialità sportive della piccola compatta da città e pensa: al diavolo, ora da qui ci tiro fuori una Golf coi fiocchi. Raduna pochi fidati colleghi e nel tempo libero lavora al progetto, montando un motore 1.6 litri di un’Audi 80 con quasi cento cavalli, uno scarico per nulla timido e sospensioni sportive. Il progetto clandestino viene presentato al presidente del consiglio d’amministrazione, Toni Schmuker, che entusiasta del risultato dà luce verde. E la folla esulta sugli spalti.
All’imminente Salone di Francoforte del ’75 la Golf GTI ruba la scena: il look è battagliero, il prezzo è adeguato e sotto la carrozzeria disegnata da Giugiaro si nasconde un 1.6 litri da 110 cavalli ad iniezione; ne erano previsti 5.000 esemplari giusto per rientrare dei costi di sviluppo, finiranno per diventare 461.690! La seconda serie viene introdotta nel 1984 mossa da un 1.8 litri 8 valvole da 112 cavalli e successivamente un 16 valvole da 139 cavalli, con il top di gamma rappresentato dalla G60 capace di oltre 160 cavalli grazie ad un compressore volumetrico. Le dimensioni e il peso (920 chili per la 3 porte) crescono, la filosofia spigliata e vivace però resta. La ‘mia’ GTI mk2 è di inizio 1987, una delle ultime pre-restyling con ancora il finestrino diviso, lo specchietto arretrato e la griglia anteriore a sei listelli anziché cinque. Il motore otto valvole ha un sacco di coppia, la guida è confortevole e composta e gli interni sono davvero ben fatti, specialmente nei dettagli come i colorati sedili o il quadro digitale, stupendo di notte. Così, mentre passo da una marcia all’altra ricapitolando mentalmente l’evoluzione del modello penso, cosa potrebbe esserci di paragonabile, con cosa potrei confrontare questa bella GTI mk2? La risposta è stata piuttosto semplice in realtà, ma tremendamente articolata. Uno Turbo mk1, 205 GTI 1.9, Corsa Gsi, Fiesta XR2, AX Sport, 5 GT Turbo, Clio 1.8, Rover 114 GTi… era un periodo d’oro, tutti volevano una hot hatch nel loro listino. Tanta riflessione e tanto vino dopo (certe scelte non si fanno a stomaco vuoto) ho deciso per due notevoli esponenti della categoria, due auto rimaste nell’immaginario collettivo per il loro carattere esuberante e il loro coinvolgimento: la Peugeot 205 Rallye e la Renault 5 GT Turbo. Entrambe compatte, leggere, con più di cento cavalli, divertentissime da guidare e toste, persino pericolose per dei principianti.
La piccola Peugeot è declinata in due altre varianti pepate – 1.6 GTI e 1.9 GTI – ma la Rallye (sviluppata insieme alla Peugeot-Talbot Sport e presentata nel 1988) è la versione definitiva per chi vuole pensare solamente alla guida, niente clima o radio di serie, via quasi tutto il materiale fonoassorbente, l’impianto elettrico è ridotto al minimo, i cerchi sono di semplice ferro bianco, non ci sono i fendi o posacenere e la livrea riprende quella della mostruosa 205 T16. La potenza e gli optional aggiuntivi della 205 GTI hanno il loro prezzo, un prezzo che tanti appassionati non sentono la necessità di pagare decretando così il successo della spartana Rallye. Il motore TU24 è un 1.3 litri con albero a camme dal profilo più aggressivo e una coppia di grossi carburatori Weber, per 103 cavalli su 794 chili che insieme alle sospensioni affinate assicurano un comportamento stradale fantastico. Negli stessi anni la 5 GT Turbo cercava di conquistare i medesimi impallinati di motori con una ricetta diversa: quattro cilindri turbo da 1.4 litri con 120 cavalli, erogazione piena, look squadrato e agguerrito e una guida più muscoli e meno finezze. 850 chili di peso e la foga del turbo minavano la clientela della GTI promettendovi emozioni forti e una connessione non troppo velata al Motorsport, ambito dove conquistò decine di vittorie in svariate competizioni. Una punta tutte le sue carte sulla completezza, l’altra sul più puro e genuino divertimento alla guida e un’altra sul carattere ruvido e preciso. Ho il sospetto che ci divertiremo. Siamo in zona Brescia così la nostra comitiva si ritrova a mangiare qualcosa al Museo 1000 Miglia, sempre piacevole da visitare e con vetture affascinanti, figlie di un’epoca dove il brivido offuscava il rischio. Salutiamo il cascinale che ospita la splendida collezione della Freccia Rossa e portiamo il nostro pestifero terzetto verso il paesino di Serle, sede di una strada insospettabilmente bella. E’ corta, saranno cinque chilometri a far tanto, ma come banco prova per testare un’auto (ho provato anche lei qua) è perfetta.
C’è tutto: buon asfalto, rettilinei lunghissimi seguiti da tornanti stretti, contropendenze, curve da terza e quarta piene e un paio di difficili tratti dove siete in velocità e la strada chiude di colpo costringendovi a staccare mentre siete ancora parecchio storti. Fatta sia a salire che a scendere diventano dieci chilometri variegati, ripidi e impegnativi; un parco giochi in pratica. Dato che la comparativa è nata da lei apro galantemente le danze con la Golf, lasciandomi accogliere dagli interni vivaci e da quel famoso pomello del cambio che ricorda una pallina da golf. In realtà, come molti altri modelli del gruppo, il nome Golf non deriva da quei tizi dai vestiti costosi che lanciano palline in aria con dei bastoni, bensì da un vento (il Golfstrom, Corrente del Golfo) ma sapete com’è, una leva del cambio a forma di brezza sarebbe stata complicata da realizzare. La solidità tedesca si nota subito: questa Golf ha qualcosa come 254.000 chilometri eppure il motore si avvia con mezzo giro di chiave e il minimo è regolare, idem gli interni che non hanno una singola lucina bruciata o problemi con la futuristica strumentazione. Il quadro digitale è bellissimo, chiaro e intuitivo nel comunicarvi – già 34 anni fa – velocità media, consumo medio, temperatura di acqua e olio e litri residui. E poi avete ben quattro pulsanti per il clacson, utilissimi contro i ciclisti! Faccio risalire fin quasi alla cima le barrette verdi del contagiri in partenza (giusto per assicurarmi funzionino tutte sia chiaro) e in pochi chilometri resto colpiti dall’otto valvole tedesco. Alcuni criticavano la carenza di prestazioni nella Mk2, non certo da parte della nostra però, che dimostra una coppia impressionante e riprende senza indugi persino in quarta marcia; tra i 2.500 e i 4.500 avete già tutta la spinta che vi serve, senza bisogno di avvicinarvi al fondoscala. Davvero notevole. Il sound non è grossolano ed è godurioso specialmente in scalata eseguendo il punta tacco, piuttosto facile con la pedaliera della Golf. Il cambio regge bene nonostante i tanti chilometri percorsi, si è un po’ “ingommato” (termine molto tecnico) nel tempo eppure riesce ancora a restituire una sensazione solida e meccanica attraverso la leva.
I freni confermano l’affidabilità crucca con un pedale fermo e una buona potenza, i più efficaci tra le tre hot hatch qua presenti. Ciò che invece non ha retto la sfida del tempo – ma probabilmente anche da nuovo non era eccelso – è lo sterzo: la corona è troppo grossa, è impreciso e l’avantreno sottosterza davvero tanto, complici le gomme dalla spalla troppo morbida e il peso aggiuntivo rispetto alle rivali. Nel complesso la GTI Mk2 è simile alle Golf sportive moderne: davvero ben costruita, pratica, non impegnativa da portare al limite (sovrasterza, e poco, solamente se provocata al massimo) e né troppo sobria né troppo vistosa da vedere, però più coinvolgente. E’ una vettura onesta e divertente, ci mettete del tempo ad affezionarvi a lei ma prima o poi accade, tant’è vero che ho passato due giorni proprio divertenti. Dopo la Golf salgo sulla 5, l’unica che non conosco ancora: look arrogante con passaruota allargati, linee più tese e squadrate di una cassapanca e decals laterali che a chiare lettere recano la scritta “Gt Turbo”. Sia mai che le avversarie dimentichino quella piccola girante nascosta sotto il cofano. Sprofondo nei sedili infossati e contenitivi e subito mi accorgo della buffa seduta, con il volante leggermente disassato verso destra così come i pedali, che in più hanno freno e acceleratore (super reattivo) esageratamente ravvicinati. Risalendo agili verso Serle prendo man mano confidenza con lei e una volta abituato alla particolare posizione di guida alzo il ritmo, scoprendo con piacere una vettura molto più composta e accurata del previsto. Mi aspettavo la classica bombetta tutta turbo, foga e telaio di marzapane invece l’avantreno è preciso in inserimento, l’assetto ottimo e il retrotreno obbediente e raramente nervoso. Lo sterzo non assistito è un bel macigno ma vi permette facili correzioni, le sospensioni (ancora le sue originali) lavorano come si deve assorbendo le sconnessioni maggiori senza sforzi nonostante la ovvia rigidità di base e il cambio è la classica trasmissione che accetta tutto con benevolenza.
Potete buttare dentro marcia dopo marcia senza molti riguardi sapendo che gli ingranaggi non avranno problemi ad accettarle, la corsa è lunga e l’innesto non particolarmente raffinato, eppure è fluidissimo; è un cambio lontano dal nudo piacere meccanico di quello della 205 puntando più sulla scioltezza nei passaggi per colpirmi positivamente. Altra cosa che apprezzo della 5 è il suo sound, davvero vario con gorgoglii e sibili dalla turbina, educati sbuffi dalla pop off (non stock, come il finale) e un grezzo brontolio in accelerazione, davvero coinvolgente. Il motore turbocompresso però – vista la potenza specifica conservativa e di conseguenza una bassa pressione della turbina – è a sorpresa fin troppo lineare nell’erogazione fino ai 4.500 giri, ottima notizia per la trazione in uscita di curva e un po’ meno per l’entusiasmo al volante anche se le prestazioni (contando gli 850 chili a secco) sono di tutto rispetto. Scendo dalla piccola Renault colpito per motivi imprevisti: non la pensavo così composta e agile in curva, addirittura precisa, mentre avrei voluto un po’ più di “ruvidità vecchia scuola” dall’unico quattro cilindri turbo di questo test. Ora manca solo la Peugeot, la hooligan del gruppo. Classe 1992, livrea ispirata alla T16, 794 chili di peso e un motore da 1.3 litri vorace di giri, oltre a tonnellate, e ancora tonnellate, di carattere. Se la sottovalutate – sviati dai cerchi in ferro da 13’’, dall’aspetto tenero e dalla livrea apparentemente pretenziosa – lo fate solo a vostro rischio e pericolo. Conosco bene il proprietario e questa 205, così la saluto come fosse una vecchia amica, metto in moto e parto a razzo per vedere di cosa sia capace lungo questo percorso. Che dire… la Rallye è un gioiello, uno di quelli da custodire con gelosia maniacale. Il quattro cilindri ha un sound fantastico tra aspirazione e scarico (qua leggermente modificati), è penetrante, acuto, criminoso e con una fame di giri tale che il limitatore a 7.300 gli va assolutamente stretto; pare un muletto da rally, anzi suona meglio perché è meno sguaiato e più concentrato. Ai bassi se la cava bene vista la massa ridicola per poi infervorarsi come un matto passati i 5.000 giri, sfoderando prestazioni impressionanti per soli 103 cavalli.
Il cambio è comandato da un’asta lunga e sottile, davvero tattile, sentite persino la leggera resistenza degli ingranaggi che accolgono le marce, il tutto condito da una precisione esclusivamente meccanica. E non siete ancora arrivati al comportamento dinamico, la ciliegina sulla torta di un pacchetto tecnico speciale. La 205 comunque non è per animi deboli: il telaio è accurato e dannatamente comunicativo ma prevalentemente sovrasterzante, soprattutto se le gomme montate sono del… ehm, 2006. Rilasciate l’acceleratore sterzando e il muso chiuderà la traiettoria con il posteriore che allarga allegro, e se proprio volete giocare a fare Ken Block basterà staccare in ingresso curva per illudere chi vi guarda che la 205 sia a trazione posteriore; in una rotonda ho fatto un traverso così lungo che ho subito affibbiato alla Rallye il soprannome di “carrellino della spesa”. Gomme così datate ovviamente abbassano i limiti e rendono la Rallye impegnativa, pericolosa addirittura per i non esperti, ma vi costringono ad affinare ancor di più la vostra sensibilità facendovi assorbire dallo spirito di questa piccola peste. I freni invece sono debolucci, mentre lo sterzo – penalizzato dalle gomme – non è affilato come dovrebbe essere, anche se ciò non influisce sulla bontà dell’avantreno. Gli interni della Rallye (molto bella la moquette rossa) in realtà non sono rifiniti come le rivali, né accessoriati, ma se vi interessa solo la guida avrete poco da rimpiangere. A conti fatti la Golf è la ragazza matura della compagnia, quella che cerca di fare tutto alla perfezione, e quasi ci riesce, sacrificando però l’eccitazione per la serietà; la 5 GT Turbo è impegnativa e fisica ma non quanto vorrebbe farvi credere, garantendovi delle belle emozioni sotto la scorza riservata e infine abbiamo lei, la ragazza anarchica e estroversa come poche, quella che se ne frega di tutto e pensa solo al divertimento. E se deve divertirsi, lo fa in grande stile. Questa comparativa è un omaggio a tre compatte che mettevano – e mettono – al primo posto il coinvolgimento e il piacere di guida, senza marketing o cazzate politically correct pronte a sbiadirne il carattere. Una però spicca fra tutte: per quanto la 5 e la GTI siano fantastiche (e chiunque le possieda possa ritenersi fortunato) la 205 Rallye è davvero eccezionale, un antidepressivo su ruote, ed è proprio quella che vorrei in garage.
Un ringraziamento a Claudio, Enrico, Michele e Paolo per la loro disponibilità
di Tommaso Ferrari