VERSO L’INFINITO E OLTRE
Niente sigla Type R al retro, nonostante ciò la S2000 vanta il tanto osannato sistema Vtec con una incredibile linea rossa, un cambio che commuoverebbe gli angeli e un ottimo telaio, più il bonus della guida a cielo aperto. Ecco come va.
Mentre il mondo si dedica compiaciuto all’autoerotismo elettrico qui continuiamo ad occuparci del vero piacere di guida, del coinvolgimento meccanico puro, quel brivido incontrollato che vi percorre la spina dorsale al volante di una sportiva capace di collegarsi alle vostre emozioni, non al vostro smartphone. Ogni giorno escono automi silenziosi senz’anima, oggetti che vi spostano dal punto A al punto B tentando di ridurre al minimo la fatica del guidare. Eh già, fatica. Molti vedono la guida come un compito arduo, un’incombenza, non quello che potrebbe in realtà essere: un’esperienza, una combinazione di elementi che solletica le vostre endorfine. E badate bene, per solleticarle non servono esclusivamente supercar o hypercar da dozzilioni di cavalli, basta una scatoletta analogica sulla strada giusta per dimenticare ciò che di male c’è al mondo. Per disintossicarci da questa realtà farcita di noia ho scelto due delle mie cose preferite: una sportiva piena di personalità e un passo di montagna a forma di grosso parco giochi, il Maniva. Snodato tra il Dosso Alto e il Dosso dei Galli il Maniva è un passo incredibilmente panoramico in provincia di Brescia, un tortuoso serpentone d’asfalto condito da tornanti, curve veloci, compressioni e contropendenze che terminano a “i radar”, una ex base Nato della Guerra Fredda contraddistinta da enormi parabole alte trenta metri; svettano dalla cima del Dosso dei Galli e con il giusto meteo danno all’ambiente un che di surreale.
La sportiva in questione invece è una Honda S2000 AP1 del 1999, fiore all’occhiello della produzione giapponese e auto-regalo di Honda per i propri 50 anni. Due posti secchi, cambio manuale, trazione posteriore, autobloccante e un 2.0 litri da 241 cavalli per 1.260 chili, una ricetta che non ci si stanca mai di provare. All’epoca la mia bibbia personale – Evo UK – aveva criticato il servosterzo elettrico e la carenza di spinta ai bassi, ma tutti i tester concordavano sul fatto che la S2000 fosse un’auto speciale, e non solo per il mitico Vtec. Le linee semplici e fini della Honda, esaltate da proporzioni classiche, si sono bevute lo scorrere del tempo finendo per non dimostrare minimamente 24 anni; stupendo anche l’abbinamento di colori tra carrozzeria nera e interni rossi, quasi del tutto originali. Una decina di anni fa queste spider costavano quanto una Dacia incidentata, così molte caddero tra le grinfie di gente cresciuta a neon e Maxi Tuning, che le rovinarono ignare della finezza meccanica e del piacere di guida ormai annegato sotto body kit obbrobriosi e impianti stereo deleteri. La nostra, di S2000, si è praticamente salvata. L’ex proprietario di questo esemplare – per oscure ragioni – ha verniciato i cerchi di nero e rimosso i loghi, inoltre ha ritappezzato il sottile volante di serie. Nulla di tragico. L’idea delle cuciture rosse a contrasto con la pelle nera era carina, l’esecuzione meno, ‘ingrassando’ anche il feeling di guida. Tuttavia, un aspetto è stato curato come un figlio: la meccanica. 249.000 chilometri percorsi e la S2000 gira ancora fresca di fabbrica, nessun incertezza al minimo o alla celestiale linea rossa, nemmeno dopo qualche ora passata a riavviarla e spostarla di qua e di là per gli scatti.
Lo scarico è aftermarket, idem l’aspirazione: temevo si fosse puntato solo ai decibel alla rozza, invece – grazie al cielo – il volume sarà stato incrementato di un graditissimo 20% rispetto a prima. Tra i 3.000 e i 4.000 giri domina l’aspirazione e lo scarico emette un borbottio cavernoso (una libidine in scalata), per poi diventare un urlo disperato e quasi doloroso in zona rossa. Ma a questo ci arriveremo per gradi. Mi infilo nel primo ‘piazzale con vista’ scelto per il servizio fotografico e ogni speranza di tener pulita la lucida carrozzeria non si arrende, si suicida direttamente. Quel profondo nero pare reduce da una tempesta di sabbia dopo letteralmente quattro secondi.
Ci consoliamo ammirando il vano motore: per quanto l’aspirazione Mugen in carbonio domini, la star dello show non può non essere quell’F20C Vtec in posizione anteriore-centrale. E’ cacciato così in fondo al vano che dovete sfoderare un binocolo da birdwatcher per vederlo bene, un’ottima notizia per la ripartizione dei pesi – 50:50 – e per l’inserimento in curva, come ho già potuto sperimentare in salita. Ma io sono uno pignolo, così risalgo sul sedile del guidatore per averne la conferma. Gli interni rossi oltre ad essere un gran belli sono ineccepibili: ergonomici quanto quelli di una NSX, intimi quanto quelli di una Mx-5. Ogni pomolo e strumento è come dovrebbe essere, nulla di più, nulla di meno. E’ di un minimalismo affascinante senza sembrare spartano, impreziosito da piccoli tocchi come il pulsante dell’avviamento o il pomello del cambio in titanio. Giro la chiave, premo quell’invitante tondo rosso e torno ad assaporare le sensazioni genuine della giapponese.
Il quattro cilindri non brilla ai bassi, sotto i 5.000 giri si ferma all’aggettivo ‘adeguato’ anche se francamente non è così fiacco come molti lamentano. Dopotutto è un motore da 9.000 giri, vette riservate a supercar come la LFA o la GT4 RS. La carenza di coppia viene in parte compensata dall’estrema fluidità del motore – sconosciuta a qualsiasi turbo, ci si dimentica quanto sia piacevole – e soprattutto dagli ultimi 3.000 giri, da sempre il ‘party piece’ di questi propulsori graziati dal variatore di fase più eccitante di sempre. L’ingresso del Vtec non è brutale come per la Integra Type R né blando come sulla NSX, verso i 6.000 giri c’è un deciso cambio di passo e di melodia, il sound acuto dell’aspirazione si fa più intenso e le vostre pupille si dilatano mentre il contagiri digitale illumina sempre più tacchette.
Cambio a 9.050 giri (ebbene sì, il vero limitatore è a 9.150 giri), le cifre sul nitido quadrante digitale aumentano rapidamente e i 241 cavalli si scaricano a terra. Pensate che in Giappone l’S2000 ne ha 252 di puledri, per uno sbalorditivo rapporto di 126 Cv/litro, roba da 458 Italia. Che amiate il Vtec o che lo riteniate sopravvalutato, non c’è dubbio che sia uno dei più ammalianti sistemi mai progettati, come un’overdose meccanica della quale non potete – e non volete – fare a meno. Nel frattempo un luuuuungo susseguirsi di curve mi fa assaporare la facilità del puntatacco con questa pedaliera, leggera e ben spaziata, e i benefici del motore appiccicato alle vostre suole. Oh, e il cambio. Un capolavoro.
Lo schema riportato sul pomello potrebbe benissimo essere la rappresentazione in scala 1:1 della sua corsa tanto è breve il movimento richiesto dal polso. Passate dalla terza alla quarta e i vostri neuroni devono ricalibrarsi un paio di volte prima di capire di aver già concluso il tutto. Il feeling è ultra meccanico e scorrevole, le cambiate sono istantanee e la corsa ridicola non smette di stupirvi. Sublime. Arrivo in cima ai radar e sembra di esser stato catapultato in un mondo primitivo, avviluppato da fitte nebbie e una vegetazione brulla, con nuvole che corrono più rapide dei pistoni della S2000. Questo periodo è uno dei migliori per godersi le strade e i panorami del Maniva, sempre in trasformazione e quasi deserti. Rifaccio il percorso inverso ancora più convinto, l’anteriore è rapido in inserimento, deciso, solo una lieve incertezza nella trasmissione dati da parte dello sterzo elettrico. Il peso è azzeccato, ma a livello di informazioni avrei desiderato ancora di più. Una parte di colpa è imputabile alle gomme – davanti delle NS2 R e dietro delle Federal ST1 – dato che l’asfalto umido e freddo non aiuta certo le rigide Nankang; al limite prevale un leggero sottosterzo, in pianura invece, dove l’asfalto è asciutto e le semi-slick possono fare il loro dovere l’equilibrio si inverte, ancorando molto di più l’anteriore e giocando con il retro in uscita di curva. Il sovrasterzo arriva in maniera piuttosto repentina, anche se il posteriore è tendenzialmente ben piantato a terra, di conseguenza meglio godersi la precisione del telaio e quella miracolosa combinazione motore-trasmissione guidando puliti. L’assetto cede raramente al rollio, pur essendo morbido e molto delicato con la vostra schiena, un risultato ragguardevole e inatteso. Inatteso come il livello di comfort, che continua a impressionarmi.
La semplicità della plancia, e la sua stessa qualità, avrebbero molto da insegnare al mondo moderno, e la seduta avvolgente non stanca mai. Potreste fare un roadtrip di centinaia di chilometri senza il minimo disagio. D’accordo, parla uno che da piccolo era portato all’asilo nel baule di un FJ40, ma da allora sono riuscito ad alzare i miei riferimenti. La S2000, rigorosamente scappottata anche se ci sono sette gradi, non può non ricordarmi la Mx-5 NA/NB ma mentre la Miatina è un (divertentissimo) giocattolo la Honda è una versione ben più matura e prestazionale della stessa filosofia. Lo sterzo che potrebbe essere più comunicativo e la carenza di corpo ai bassi sono compensati dalle qualità innate della giapponese, docile quando volete, incredibilmente rabbiosa in zona Vtec.
Provatela e resterete di sasso dalla sua doppia anima: la S2000 sa regalarvi una sottile esperienza tra spider e GT sulle lunghe percorrenze o adrenalina a sacchi su un passo di montagna. A voi la scelta. Al calare del buio e della nebbia ci fermiamo allo Chalet Maniva per riscaldarci, tirando le somme su questa incredibile sportiva. Di difetti come abbiamo visto ve ne sono pochi, di pregi molti di più. Apprezzerei qualche cavallo in aggiunta, che il telaio gestirebbe ad occhi chiusi, marce ancora più corte e un grip più bilanciato (risolvibile), inezie che spariscono di fronte a ciò che quest’auto rappresenta. La spider Honda è una fresca boccata d’aria, un concentrato analogico che smuove le vostre corde più profonde. 24 anni fa la casa giapponese ha dimostrato che motori enormi e coppia smisurata, o eccessiva tecnologia, non sono proporzionali al divertimento, assioma più che mai valido oggigiorno. Poco importa se una A35 AMG o una Golf R – per dire due nomi a caso – sarebbero solo un puntino all’orizzonte, perché al volante delle tedesche non starei sorridendo da orecchio a orecchio, immerso in ogni singolo secondo di questa esperienza sensoriale chiamata S2000.
Un ringraziamento a Valter e Edo
Lavoro realizzato per Veloce, 11/23
di Tommaso Ferrari