PICCOLE PESTI

 

              Concorrenti e rivali, due differenti interpretazioni per lo stesso pestifero divertimento anni ‘70

In principio fu la Mini. La geniale mente di Alec Issigonis partorisce a fine anni ’50 una scatolina di poco più di tre metri in grado di ospitare quattro persone, di concezione brillante, economica e dotata di qualità di guida insospettabili. Il motore anteriore e trasversale è all’avanguardia, le sospensioni sono indipendenti e la trazione anteriore è ancora una scelta rara per le utilitarie, tutti elementi che contribuiscono al successo planetario dell’inglese. Quando poi il Sig. John Cooper mette mano a propulsore, freni e assetto creando l’omonima versione sportiva la Mini raggiunge l’apice dominando nelle competizioni e persino – come dimenticarlo – vincendo per tre volte il Rally di Montecarlo contro avversarie che la facevano apparire un orsetto lavatore in lotta con dei grizzly. Tutto bellissimo… un po’ meno per le concorrenti che devono correre ai ripari. Nei tardi anni ’60 in Italia abbiamo l’850 e la Bianchina, funzionali e pratiche per carità ma antiquate rispetto alla Mini, così sul finire del decennio la Autobianchi si mette in testa di progettare un’alternativa tricolore che faccia abbassare la cresta a quell’arrogante inglese. Dopo la popolarità della Bianchina e l’acquisizione definitiva da parte di mamma Fiat i mezzi e le risorse ci sono difatti nel 1969 vede la luce il progetto “X 1/2”, poi chiamata A112, 323 centimetri che sbancano il Salone di Torino. L’accoglienza è eccellente e le qualità della Autobianchi trovano talmente tanti consensi ed acquirenti che si fatica a tenere il passo delle richieste; la linea piace, il prezzo è economico così come la manutenzione e il quattro cilindri da 44 cavalli pur non avendo una velocità massima da Autobahn si difende molto bene nello spunto. Anche in questo caso ci vuole poco perché qualcuno decida di insaporire la ricetta donando velleità più sportive alla A112, e quel qualcuno è Karl Abarth che modifica profondamente il motore ottenendo 58 cavalli, allestendo gli interni in maniera più completa e vivacizzando l’estetica.

Mentre tutto ciò accade un altro marchio italiano sta tentando il colpaccio nel segmento della A112 prendendo però una via British… in quel di Lambrate. Per svicolare il problema delle tasse doganali infatti la Mini viene prodotta in Italia attraverso la Innocenti che apporta ugualmente modifiche ‘personali’ – interni rifiniti meglio e una strumentazione più completa ad esempio – e utilizzando svariate componenti fornite da ditte italiane. Dopo qualche anno a produrre l’utilitaria d’oltremanica la Innocenti sente il bisogno di creare un proprio modello, basandosi sulla collaudata meccanica inglese e adottando un design inedito frutto della matita di Marcello Gandini per Bertone, squadrato, moderno e più fresco che dà vita alla Innocenti ‘Nuova’ Mini. Nonostante le difficoltà economiche (il passaggio al gruppo Leyland non ha aiutato) e qualche problema iniziale il nuovo modello si piazza bene sul mercato con la versione 90 (998 cc) e 120 (1.275 cc) restando in listino fino al 1993. La versione certamente più intrigante nasce bensì nel 1976 sotto la gestione De Tomaso, con l’argentino che vuole una vetturetta briosa, veloce e incapace di passare inosservata. In breve, la rivale perfetta della A112 Abarth. Con questa sfida in testa non mi son fatto scappare l’occasione di scoprire quale tra le due ‘bombette’ sia la più emozionante e significativa al volante e insieme a Sergio – il proprietario di entrambe – abbiamo organizzato una nostalgica comparativa. Negli anni ’70 qualunque ragazzo sognava di girare a bordo di questi petardi tascabili, chissà se nel 2021 sapranno ancora entusiasmare in mezzo a hot hatch steroidate e hypercar in stile Star Trek. La 70 HP arriva da una collezione di A112 tenute scrupolosamente anche se Sergio ha dovuto comunque intervenire in molte aree dell’auto; la De Tomaso invece è frutto di mesi e mesi di ricerche veramente laboriose, nonché di un restauro completo e maniacale.

Sulla carta non dareste un euro ad entrambe: meno di 150 cavalli in due, la coppia di un avvitatore giocattolo, ruotine grandi come i frollini della Mulino Bianco e quarant’anni superati di slancio. Da un lato abbiamo la Abarth con un 1.050 cc di cilindrata, albero a camme laterale, carburatore doppio corpo Weber, 70 cavalli e una velocità massima di 160 km/h, mentre il versante De Tomaso offre un 1.275 cc sempre aspirato con 77 cavalli, carburatore SU e uno 0-100 in circa 11 secondi. Poi viene la parte estetica: saranno anche concentrate in poco più di tre metri ma Abarth e Innocenti sapevano come far voltare le teste. I fascioni neri si sposano benissimo con il bianco di entrambe, le prese d’aria sul cofano sono il classico dettaglio da peste di paese e i doppi scarichi insieme agli stemmi sportivi chiariscono anche alla segretaria di passaggio che non sta fissando una triste e sobria utilitaria. La A112 con quei fari languidi e curvilinei e i coprimozzi Abarth tenta un approccio quasi elegante nel voler essere grintosa, la De Tomaso al contrario vi sbatte sotto il naso i suoi fendinebbia gialli, ‘curve’ tagliate con la scure e un aspetto acquattato pronto a dar battaglia. La Abarth è la più aggraziata esteticamente, la De Tomaso la più presuntuosa. Messe insieme ricordano un po’ quei cagnolini gonfi di autostima che abbaiano contro il mondo credendo di spaventarlo, la differenza in questo caso è che le pesti qui presenti possono ringhiare per validi motivi. Abbiamo già visto che la potenza bruta o accelerazioni da sparo non sono il pane di queste scatoline anni ’70 eppure con quel peso anoressico, cerchi da 12 e 13’’ e una tenuta di strada ‘vivace’ (che non ha ovviamente traccia di controlli elettronici) la De Tomaso e la A112 si rivelano molto più impegnative di quanto le dimensioni – o la scheda tecnica – suggeriscano.

Non resisto alla curiosità e parto subito dalla meno nota delle due infilandomi nell’abitacolo della De Tomaso, o per meglio dire appollaiandomi sopra il suo morbido sedile e chiedendomi chi abbia rubato la pedaliera. Faccio mente locale e scopro che i pedali ci sono ancora, solo che sono talmente disassati verso destra che la gamba picchia contro la leva del cambio. Il volante poi è reclinato ad un’angolazione strana e il sedile sembra quasi una poltroncina – però davvero contenitiva – facendomi già intuire in maniera velata il carattere della De Tomaso: assurda, stravagante, ma una volta che vi siete abituati non riuscirete a non apprezzarla. Avvio il 1.275 cc di derivazione inglese e la lancetta del contagiri – particolare pure quello nella grafica, con una forma a ‘C’ rovesciata e non circolare – si desta impaziente. La De Tomaso sarà pure vecchia, minuscola e spartana ma mi colpisce da subito. Il cambio a quattro rapporti è la prima sorpresa dato che l’azione della leva stretta e sottile è quasi impeccabile nella sua precisione, la corsa è corta e le marce entrano in scioltezza con una bella sensazione meccanica. La rapportatura è piuttosto ravvicinata così mi trovo a cambiare spesso e volentieri, nonostante non sia davvero necessario. Il quattro cilindri infatti è reattivo già dai bassi giri e per quanto la coppia sia minima fa il suo dovere nello spostare i poco più di 700 chili della De Tomaso, per poi infervorarsi al salire del regime con un allungo discreto; potete girovagare in quarta a 2.000 giri o avvicinarvi ai 6.000 con la stessa nonchalance. 77 cavalli non lasciano una paresi facciale in accelerazione eppure vi trovate presto in ‘zona multa’ a giocare con uno sterzo – seppur non troppo diretto – che trasmette un sacco di informazioni attraverso la corona.

La parte più teatrale della De Tomaso però è in curva visto che il telaio per quanto imperfetto non resta certo indietro alla voce coinvolgimento: affrontate una seconda o terza piene e a volte il muso chiude repentino, altre oscilla sulle sospensioni in maniera ‘creativa’ e altre ancora il retro si esibisce in un sovrasterzo in rilascio o in staccata davvero piacevole. E’ un comportamento imprevedibile, sempre diverso che vi costringe a essere costantemente accorti ma che fa anche divertire un mondo. Inoltre le sospensioni sono parecchio rigide senza però essere legnose, anzi gli ammortizzatori lavorano innegabilmente bene calcolando anche le ruote minuscole. Dopo un po’ di tempo al volante della De Tomaso la pedaliera vi sembra (quasi) normale, specialmente per il punta tacco, e le sue stranezze sono proprio quelle che mi fanno affezionare a lei; mezz’ora di guida seria richiede impegno, dovete sempre prestare attenzione alle cambiate, all’ingresso in curva o al lavoro dello sterzo e delle sospensioni però si tratta di una spossatezza soddisfacente. Tornati al punto di partenza raddrizzo le gambe, smonto dal soffice sedile e mi calo nell’altra minuscola rivale. Sulla A112 Abarth tutto sembra così… normale. Il contagiri ha l’aspetto di un contagiri, la pedaliera non ha bisogno di contorsionismi e il volante è a distanza umana, anche l’abitacolo sembra meno striminzito nonostante i sedili non raggiungano il livello di comodità di quelli della Innocenti. La A112 ebbe un successo tale da ridimensionare notevolmente il fenomeno Mini in Italia, e le versioni ideate da Karl Abarth non furono da meno; se volete pensatela pure come una 500 Abarth moderna, solo con più finezza estetica e un piccolo motore aspirato. 1.050 cc al giorno d’oggi fanno sorridere, vale anche per i 70 cavalli, una potenza in realtà decente se il peso a secco si ferma a soli 7 quintali. In movimento la 70 HP si rivela subito più facile da guidare rispetto alla Mini, e anche meno esigente o ‘particolare’ in curva; in inserimento è più precisa e il comportamento molto più prevedibile e neutro.

La tenuta a dispetto delle gomme da 155 con spalla da furgoncino è superiore al previsto e i pochi chili della A112 si muovono agilmente anche sotto sforzo però c’è un neo piuttosto rilevante. L’essere più facile da guidare rispetto alla De Tomaso non è per forza di cose un punto a favore, il fatto è che il carattere eccentrico della Innocenti non la rende mai noiosa. Inoltre tanti aspetti della A112 sono in difetto rispetto alla rivale: il cambio non è malaccio ma è più gommoso e meno sciolto, le sospensioni generano un rollio eccessivo e non offrono il controllo o lo smorzamento della De Tomaso e lo sterzo è meno comunicativo. Molte altre caratteristiche come il sound piacevole e l’estetica davvero azzeccata, o i freni discreti per l’epoca e il motore che gira anche oltre i 7.000 giri sono degne di nota eppure vi mancano le stranezze della Mini e il suo tenervi sempre sulle spine. La A112 Abarth è un po’ come una ragazza amorevole, pacata, devota, la scelta sicura che dovreste fare e per la quale tifano senza ritegno i genitori… solo che sotto sotto il vostro cuore batte per quella tipa casinara e anarchica – la De Tomaso – che vi attira irrimediabilmente. Il prodotto dello scorpione non passerà mai di moda con il suo look accattivante, ancor più in rosso con il classico cofano nero e magari una fanaliera aggiuntiva (che bella!) a richiamare le corse, e anche la guida riesce comunque a coinvolgervi quando incontrate qualche tratto più tortuoso del solito. La sorpresa di oggi però è la De Tomaso, poco conosciuta sia perché le rivali son ben più note sia perché la versione aspirata tanto spesso è dimenticata a favore della successiva tre cilindri turbo. Proprio un peccato, la bellicosa Innocenti con le sue mille sfaccettature – buone, brutte o strane – mi ha divertito in maniera inaspettata e mi ha ributtato dentro un’epoca ormai andata dove anche 77 cavalli bastavano e avanzavano per farvi felici.

Tante grazie a Sergio per le sue due fantastiche italiane

di Tommaso Ferrari