ANACRONISMO SU RUOTE
800 chilometri tra Svizzera, Italia e Franciacorta con una Morgan Plus Four, diretto ad ammirare il The I.C.E., un concorso d’eleganza che lascia senza fiato, non solo per le temperature
5.50 del mattino. L’alba sta ancora sonnecchiando dietro le montagne e mancano una decina di minuti prima che la sveglia compia il suo dovere, eppure sono già in piedi, eccitato per l’avventura di oggi come un bambino dopo due litri di Coca Cola. I monti circostanti iniziano a tingersi dei freddi colori del crepuscolo, il cielo lentamente si rischiara come se anche lui si risvegliasse dal torpore della notte che da ieri sera cela le cime svizzere. I loro profili ora si stagliano netti e quando esco dall’appartamento in quel di Chiavenna l’adrenalina circola rapida in corpo. Incastro la minuscola valigia dietro i sedili, faccio scaldare il motore e parto alla volta del confine impaziente per ciò che mi attende nella perla dell’Engadina, il The I.C.E. di St. Moritz. L’International Concours of Elegance è un evento unico, difficile da descrivere. Il livello delle auto presenti è paragonabile a Pebble Beach o Villa d’Este solo che tutto ha un che di magico per il paesaggio mozzafiato che vi circonda e per il fatto che – e quasi non ci pensate – il villaggio apposito, gli stand e quelle centinaia di milioni di euro poggiano su una porzione di acqua momentaneamente allo stato solido. Jaguar XKSS, Maserati 4CL, Ferrari 250 GTO, Countach Periscopio, Aston DB3 S, Zonda Barchetta… decine di classiche da corsa e supercar mostrano la loro magnificenza al mondo in un colpo d’occhio da infarto. E sapete la cosa più bella del concorso? La spensieratezza, la voglia di divertirsi. Qua non esistono speculatori che nascondono il loro investimento in garage per avere un avido tornaconto, qua esistono solo ricchi appassionati che vogliono guidare i loro gioielli al limite – e di traverso – lungo il tracciato disegnato sulla superficie del lago. Ed è giusto così, le classiche qui presenti nascono quasi tutte come auto da corsa, e non è che negli anni siano diventate noiose city car.
C’era solo un modo per vivere come si deve quest’avventura, guidando fino in Svizzera una vettura altrettanto speciale, una Morgan Plus Four. Però moderna. La guardate di sfuggita e pensate “Ecco un anzianotto in pensione che si è tolto lo sfizio per i giretti sul lago della domenica” poi leggete la scheda tecnica e arricciate le sopracciglia, poi ancora la guidate e il vostro cervello non elabora come questa pazza auto possa intraversarsi sul dritto anche in quarta. Sull’asciutto. Immaginatela come un restomod ufficiale: Morgan ha ripreso linee fascinose e romantiche di altri tempi e le ha unite a meccanica moderna e prestazioni micidiali, per una combinazione comicamente valida. Oltre alla verniciatura bicolore dal sapore vintage e ai cerchi a raggi troverete poco di datato: il motore è un 2.0 litri turbo (di derivazione Bmw) da 258 cavalli e 400 Nm di coppia su 1.013 chili associati ad un cambio automatico a otto marce. Le sospensioni sono indipendenti, il telaio CX è in alluminio – ma con sempre parte della sovrascocca in frassino – e lo 0-100 viene archiviato in qualcosa come 4,8 secondi. Il me che sta cercando di infilare la valigia nello spazio dietro ai sedili (non classificabile come baule) non vede l’ora di sparare quel cofano infinito sul Passo del Maloja e del Bernina, visto che il primo contatto con la Plus Four non è stato brivido puro. L’ho ritirata venerdì pomeriggio da Romeo Ferraris – che me l’ha gentilmente concessa in prova – e dopo essermi strizzato nel minuscolo abitacolo… ho beccato due ore di coda tra Milano e il Lago di Como. Yeee. La Plus Four comincia altrettanto male: le sospensioni, e non il telaio, sembrano fatte di legno, i sedili sono scomodi, il cambio automatico ha un fastidioso sussulto ogni volta che inserisce una marcia, gli specchietti sono regolabili solo da fuori e si spostano col vento, i freni sono efficaci solo impegnandosi e i paddle sono di plasticaccia.
Oh, e gli spifferi. A 80 km/h non riuscite quasi a parlare, a 95 km/h sembra di avere la faccia fuori dal finestrino e a 120 km/h mi aspetto di volare via insieme alla capote. Ve l’ho detto, non un gran inizio. E allora perché dopo quattro giorni insieme mi spiace così tanto salutarla? Principalmente per una singola ragione: la Plus Four ha carattere, tonnellate di carattere. A differenza di tanti elettrodom… di tante auto moderne sempre più standardizzate e prive di personalità la Morgan unisce una estetica classica a un’esperienza di guida sorprendentemente coinvolgente; da pazzi, però coinvolgente, quindi un mix irresistibile e unico. Questo l’ho capito in dosi massicce Sabato mattina quando assaltavo il Maloja, anche se finite le due ore di coda per Chiavenna piccoli impulsi nel cervello cominciavano a suggerire lo stesso, ad esempio dopo un bel traverso in rotonda o aver imbarazzato una Golf GTI che faceva la presuntuosa. Questo anacronismo su ruote cela un rapporto Nm/tonnellata migliore di una Giulia Quadrifoglio Verde, e mentre salgo il Passo del Maloja le cose che mi sconvolgono sono due: la nevicata inattesa – fortuna che ho le invernali – e le prestazioni balistiche della Plus Four. 400 Nm sono tanti, ancor di più se devono sbattersi a muovere solo 1.013 chili. Il 2.0 litri turbo ha poco lag, giusto il tempo di riempirsi i polmoni e sfoderare una spinta esilarante, in quarta il posteriore rischia di intraversarsi persino sul dritto e tra i 2.000 e i 4.000 giri c’è già tutta la spinta desiderabile. Il lunghissimo muso si lancia all’orizzonte, le gomme fanno presa mentre mi godo la sensazione di essere seduto direttamente sul retrotreno. Il sound (non me lo aspettavo) ha un rombo quasi classico, pieno, cupo, davvero ben fatto per essere un turbo moderno, spesso più tristi di un piazzale ripulito troppo presto dalla neve.
In scalata si aggiungono anche scoppiettii e tuonate, che a giudicare dalle facce stupite dei passanti fanno un bel casino esternamente. La pop-off invece sotto i 2.000 giri è quasi rilassante, emettendo un profondo ‘woooosh’ che ricorda la risacca del mare. Il telaio in alluminio non ha certo velleità corsaiole ma non si comporta male, ha un grado di morbidezza e elasticità abbastanza contenuto e restituisce una buona precisione in inserimento curva. Essendo seduti così arretrati sembra di comandare una canoa dal fondo eppure i punti di corda vengono infilati senza grandi ritardi. I controlli di trazione – in teoria non disinseribili – devono essere stati scordati in azienda, non c’è altra spiegazione, perché nei tornanti del Maloja e del Bernina è davvero difficile tenere il retrotreno al suo posto… che tradotto significa che sono quasi sempre di traverso. Specialmente la sezione prima del vero e proprio Malojapass è stata magnifica, con gli sguardi allibiti di quelli che vedevano questa carrozzeria anni ’60 guidata come una Radical, anche se era inevitabile sentire la ruota interna gridare vendetta nei tornanti più angolati. Visto il volante non completamente tondo e l’abitacolo striminzito gestire più di mezzo giro di controsterzo è scomodo e poco pratico… anche se non credo che il cliente medio della Plus Four baderà a certi dettagli. Il cambio automatico Bmw finalmente si fa valere, nonostante non sia un doppia frizione è davvero rapido a salire e scendere di marcia e usato in manuale (ovvero comandando la leva come fosse un sequenziale senza usare gli orrendi paddle) è più coinvolgente. Però in colonna continua a essere fastidioso. Nel frattempo il riscaldamento sta eroicamente cercando di contrastare gli spifferi della capote, impegnata a lottare con neve e -11 gradi, che – almeno quello – stanno solo facendo un favore alle Continental invernali.
Più salgo più stranamente i fiocchi si diradano, le strade si puliscono e il cielo diventa più blu, e mentre il turbo della Morgan sbuffa e le gomme posteriori si torcono arrivo di fronte al candido mondo di Silvaplana, un lago ammantato dalla neve cinque chilometri prima di St. Moritz. Proseguo fino ad arrivare in una delle località montane più celebri del mondo, un azzurro che pare finto e uno scenario incredibile che mi si apre di fronte agli occhi: il ‘villaggio’ che occupa il lago ghiacciato mi fa quasi mancare un battito. Anzi, proprio non pervenuto. Davanti a me ho una 911 preparata per la Dakar, accanto c’è una delicata 356 Speedster, dietro si intravedono una Rolls-Royce Corniche che ha abbandonato l’eleganza per gomme tassellate e assetto rialzato (per la Dakar), seguono una Porsche 904, un’Abarth OT2000 Periscopio, una Ferrari 750 Monza, la DB5 di 007 e una 300 SL Porter Special. Poco più in là c’è la visione di una Lamborghini Countach LP400 Periscopio viola – una delle auto più magnetiche presenti – con le portiere sollevate al cielo, tre Zonda, una MC12, persino una 250 GTO e… una Maserati 4CL con le catene! Sul circuito ghiacciato intanto si stanno divertendo una XKSS, una Lancia B24, una Miura e una Dino. Ora capisco perché il The I.C.E. sia unico. Che spettacolo impagabile. Talmente è bello il concorso che tutto finisce più in fretta dell’olio di una RX-8, così tocca fare una sola cosa, consolarsi spremendo la Morgan lungo il Passo del Bernina. Quel gigante immoto e freddo che sorveglia la regione è circondato da una strada stratosferica, un liscio nastro d’asfalto tra i più eccitanti in circolazione. Mentre i muri bianchi a bordo asfalto sfrecciano via resto ancora stupito dalla velocità della Morgan, i tornanti passano via quasi tutti di traverso anche se il vento spazza in strada un sacco di neve, quindi collegare il cervello, please. Riesco a farmi i 200 chilometri fino a casa senza perdere l’udito – o la capote – il che è una vittoria, e crollo a letto esausto.
Il giorno dopo da meno undici gradi siamo passati a più tredici e io mi sento così coraggioso da togliere capote e finestrini, riponendoli dietro di me. Fa ridere, ma così gli spifferi sono molti meno e ovviamente il coinvolgimento è ancora maggiore: potete toccare con le mani l’asfalto stando seduti e l’esposizione al vento e al sole è davvero piacevole sotto una certa velocità. La carrozzeria della Plus Four sembra reduce da un rally scandinavo dopo l’avventura in Svizzera e prima di costeggiare tutto il Lago d’Iseo le do una meritata lavata. Poi premo il pulsante per l’avviamento del quattro cilindri turbo e mi dirigo verso uno specchio d’acqua che stavolta si trova allo stato liquido. A differenza di ieri decido di godermi il lato tranquillo della Morgan: i sedili ben rifiniti con il logo sui poggiatesta (se non ci fate 500 chilometri di fila sono relativamente apprezzabili), i fari a led, il bellissimo tergicristallo triplo, l’abbondanza di coppia e persino i consumi ridotti. Qui l’inglese è ancora più a suo agio, il suo ambiente ideale, essere sfoggiata con stile e non boria, un oggetto inimitabile con un eccellente tocco di modernità. E’ innegabile che abbia tanti – ma tanti – difetti, in primis gli spifferi a capote chiusa e le sospensioni granitiche, per un guidatore non sgamatissimo è quasi pericolosa al limite e costa una barca di soldi, 95.000 euro nel caso di questo esemplare. Però vi fa gioire, è unica: associa una linea di classe a prestazioni da hot hatch, un giusto comfort ad una guida capace di soddisfare anche i più esperti. Vedere quell’affascinante muso (pieno di feritoie e riflessi di cime svizzere) proiettarsi felice verso l’orizzonte resterà un ricordo bellissimo, così come il The I.C.E. Il complimento migliore che potrei fare alla Plus Four è che dopo quattro giorni insieme una parte – piuttosto grossa a dir la verità – di me voleva disperatamente giustificare il prezzo esagerato, e con 48 ore ancora a disposizione probabilmente sarebbe andata così. Che esperienza.
di Tommaso Ferrari