SHOCK MECCANICO

Una giornata intera al volante di una Caterham Seven 485 CSR conferma che il piacere di guida esula da Nm, gommature esagerate o dai gingilli elettronici. Un ritorno alle basi dannatamente eccitante e sconvolgente.

Giusto perché l’Internet lo sappia, bisogna tracciare un sette per sbloccare il mio telefono. Non perché io sia un fan di Sette anni in Tibet, o affascinato dai sette colli di Roma, né tantomeno dalla disciplina dell’eptathlon. No, è per la Seven. La Lotus Seven. Considerata una delle forme più pure e semplici di guida questo sfilatino a motore venne ideato nel lontano 1957 da quel geniaccio di Colin Chapman, fondatore della Lotus Cars e ferreo sostenitore della leggerezza. “Semplifica, poi aggiungi leggerezza”, usava dire Chapman, o ancora “maggior potenza ti rende più veloce in rettilineo, minor peso ti rende più veloce ovunque”. Parole sacrosante; se fosse possibile intrappolarle e metterle in freezer otterreste una scultura di ghiaccio a forma di mini-Seven. La piuma inglese resterà sotto il marchio di Hethel fino al Maggio del 1973, quando Lotus ne cederà i diritti alla Caterham Cars, suo agente inglese. Avrei voluto celebrare il 50° anniversario di Caterham nel 2023, ma sono andato lungo ad inizio 2024. Tecnicamente però – non mi sto assolutamente arrampicando sui vetri – Caterham nel ’73 vendette le ultime Lotus Seven S4, cominciando a produrre le proprie S3 solo nel 1974, esattamente 50 anni fa. Le prime Seven avevano una quarantina di cavalli e pesavano meno di un tavolino da caffè, ad inizio anni ’60 i cavalli salivano a 105 per 400/450 chili totali, ed ancora oggi il peso a secco oscilla tra i 440 e i 580 chili. Pesano di più alcuni optional delle berline tedesche. Una Caterham è composta da un telaio tubolare rivestito da pannelli in allumino, due posti secchi, un paio di buffi fari e niente tetto; motore e schema sospensioni variano a seconda del modello, così come le dimensioni del telaio, disponibile in versione stretta (S3) o larga (SV).

Per quanto riguarda i propulsori ad un estremo abbiamo la tenera Seven 170 con 84 cavalli, look retrò e interni in pelle, mentre al lato diametralmente opposto troviamo la 620 R, praticamente il demonio fattosi vettura: 311 cavalli su 545 chili, compressore volumetrico, semi-slick e sedili in carbonio; qualcuno potrebbe vederla come un rimasuglio color evidenziatore degli anni ’70, invece dà la paga a supercar come la Carrera GT e la Enzo, e all’autodromo di Bedford è più rapida di una Pagani Huayra. La adoro. Potete acquistare una Caterham già montata, oppure – per risparmiare qualcosa ed emozionare il vostro meccanico interiore – la casa vi recapita tutti i pezzi lasciando a voi il compito di assemblarla. Come un Lego gigante, più complesso e pericoloso. Oggi, grazie all’importatore ufficiale Romeo Ferraris e a Lorenzo Bennati (il loro gentilissimo responsabile vendite) potrò togliermi uno sfizio che inseguivo da anni, un sogno sfumatomi davanti agli occhi per tre volte sempre a causa di motivi frustranti (leggi: sfiga).

La Seven che ritiro presso il bellissimo showroom di Opera è nientemeno che la 485 CSR, top di gamma con telaio SV, interni in pelle e carbonio, motore Ford 2.0 litri aspirato da 240 cavalli, sospensioni Push-Rod e una certa vena di follia. Oh, e zero controlli. Esiste un soft top, ma: 1- tenendolo montato dovreste essere una ginnasta cinese per accedere all’abitacolo, 2 – pur essendo Febbraio c’è il sole e non sono uno freddoloso, 3 – è molto più bella senza. Appoggio il piede destro sul telaio, calo il fondoschiena sul sedile tirandomi dietro l’altra gamba e allaccio le cinture a quattro punti. Ora sono proprietà della Seven. Non guidate una Caterham, la indossate: la coscia destra è contro il tunnel della trasmissione, sono quasi sdraiato e la ‘portiera’ sinistra è appiccicata alla mia spalla; un sacco da deltaplano deve avere più spazio. Sarà anche un abitacolo lillipuziano, ma dopo parecchi chilometri in autostrada scopro che non è certo scomodo, con un comfort inatteso per la tipologia di auto.

Il sedile è morbido e ergonomico, la protezione del vento non è male e il motore a 120 fissi gira a 3.600 giri. Non dico che ci girerei l’Europa, dico che nei 550 chilometri percorsi insieme la mia schiena era fresca come una rosa e non si è mai sentita maltrattata. La mia psiche invece… quello è un altro discorso. Inizio le presentazioni con qualche allungo per prendere le misure, esploro buona parte della seconda, tento una terza piena e penso “diamine se spinge”. Tuttavia, nel retro del mio cervello, un piccolo ed impertinente neurone sta pensando “… però mi aspettavo ancora di più”. Così premo il tasto Sport, la valvola dello scarico si apre trasformando il motore in un bialbero da rally, l’erogazione si inasprisce e spalanco tutto. Per farla breve: quel neurone avrebbe fatto meglio a starsene zitto. Sono scioccato. Basito. La Seven diventa una furia, il quattro cilindri Duratec prende giri con una urgenza inquietante, mentre i led di cambiata sembrano impazziti.

E’ da tanto, tanto tempo che non provavo una simile ferocia, e sto cambiando a 7.000 giri, quando il limitatore è a 8.500! Esco dall’autostrada che è quasi sera, prendo più confidenza col telaio azzardando qualche leggero traverso – subito correggibile grazie al volantino stile Wii – e torno a casa pieno di adrenalina, tanto che la notte dormirò ben tre ore. L’itinerario del giorno seguente è ambizioso, partire dalla Franciacorta, percorrere tutta la Gardesana da Salò fino a Riva del Garda per poi dirigersi verso il Monte Bondone, ancora pieno di neve sulla cima e con eccitanti tratti d’asfalto. Il meteo è splendido, il lato Ovest del lago di Garda è baciato dal sole con una temperatura che ci permette di stare in maglietta e (soprattutto) di avere asfalto caldo e Avon ZZS felici (le semi-slick da strada montate). Ogni sosta per i vari scatti va a braccetto con qualche appassionato fermatosi per ammirare la Seven, o per chiederci di che razza di auto si tratti.

Vi sono combinazioni di colori e cerchi più adatti al look retrò della Caterham – che risulterebbe ancora più gradevole con un’estetica parzialmente vintage – ma già così è difficile non rimanerne stregati. Passato Toscolano Maderno iniziamo un tratto meno rettilineo e costellato da elementi architettonici che accolgo a braccia aperte… Gallerie. Il sound della 485 (ovviamente in Sport, tastino presente probabilmente solo per questioni di omologazione) è qualcosa di paradisiaco, celestiale per un quattro cilindri, così potente che temo di smuovere qualche pietra dalle pareti. Pare un incrocio tra la mia vecchia Ducati (che in quota spara più fucilate di un poligono Texano) e una Ascona Gr. 2 che provai qualche mese fa. Rispetto alla Opel da rally la Seven ha un paio di decibel in meno (per fortuna) ma il sound è ancor più erotico e penetrante, sottolineato dal cupo urlo dei tromboncini d’aspirazione e dalle tuonate in cambiata. Da brividi.

Passiamo Riva del Garda e il percorso inizia a farsi più tortuoso, ideale per scaldarmi in vista della salita al Bondone che appare ben prima del previsto. Ci siamo. Il sopracitato neurone pensa “vediamo che sai fare”, riferito più a me che alla Seven, e anche in questo caso avrebbe fatto meglio a starsene zitto. Do tutto me stesso, cerco di estrapolare il possibile dalla CSR e per i 15 chilometri seguenti guido come non mi capitava da tempo, ben oltre i limiti della decenza e con la Caterham che mi lascia incredulo. Il motore è rancoroso, maligno, dimenticatevi quattro cilindri che murano presto, quel due litri da 240 cavalli ha una progressione sempre maggiore fino a diventare allarmante e totalmente eccitante a limitatore; lo 0-100 dichiarato (3,9 secondi) è decisamente pessimistico. Magie della leggerezza: 206 Nm che paiono il quadruplo.

L’inserimento in curva non è purtroppo telepatico quanto una GT3 o una Evora, ci sono una leggera flessione e un briciolo di sottosterzo soprattutto con le Avon fredde, ma è impressionante contando che il motore non è centrale o a sbalzo e manca il tetto. Il grip laterale è sbalorditivo, così come i cambi di direzione: il minuscolo volante della Seven freme di informazioni, ha un peso adeguato e una reattività da libellula, facendo scattare la CSR da una chicane all’altra come se fosse la cosa più rapida sul pianeta. La pedaliera è davvero minuta ma squisita per il punta tacco, specialmente se nel farlo lo scarico laterale sputa qualche detonazione in scalata, mentre l’acceleratore è ben calibrato per dosare quel pazzo propulsore montato davanti a voi. Un paio di tornanti sono più freddi degli altri e la Seven si produce in un delicato sovrasterzo per tutta la loro lunghezza, richiedendomi meno di mezzo giro di controsterzo e facendomi sentire il protagonista di un balletto. Telegrafo con il piede destro, mi raddrizzo e vengo nuovamente inondato dal carattere folle della Caterham. Mai sottovalutarla però: superate il limite a vostro rischio e pericolo, contando che il poco spazio per i gomiti e il peso e le dimensioni limitanti del volante non permettono correzioni esagerate. Metto un attimo in pausa la registrazione “avanti veloce” del Bondone, anche perché il mio passeggero non si sta sentendo tanto bene e pure io non disprezzerei riprendere fiato. Probabilmente negli ultimi minuti non ho respirato.

Ho avuto la fortuna di provare Porsche e Ferrari da corsa, auto da rally, hot hatch elaborate e classiche più fisiche di un boscaiolo del Montana, ma parlando di vetture prettamente stradali fatico a rammentare qualcosa di così deleterio e incazzato, forse una Huracan STO o una GT4 RS. La piana innevata del Bondone – per quanto scenica – non riesce comunque a tenermi lontano dal sedile della Seven e appena terminati gli scatti mi ci rinfilo. Nonostante il sale e la ghiaia in terra (la povera Caterham è più sporca di una battuta di Craig Ferguson) le ZZS trasmettono un buon feeling, anche se adesso opto per un’andatura intermedia, meno criminale. La trasmissione ricorda quella di una Mx-5 NA/NB con molti più attributi e un piacere meccanico maggiore, è pesante e non dovete essere timidi né con la frizione – quasi da corsa come resistenza – né con la leva.

L’escursione del cambio è ridicolmente corta, tanto che a salire di marcia verso il limitatore vi sembrerà quasi di usare un sequenziale, con fucilate annesse. L’assetto è imperturbabile, la Seven è così leggera che non necessita di una taratura super rigida, risultando relativamente comoda pur avendo un rollio ridottissimo. Ci sono giusto un paio di difetti: non posso permettermela, e quando togliete le portiere per le foto statiche poi dovete anche ricordarvele. Scherzi a parte gli specchietti sono assolutamente inutili, bramerei un anteriore ancora più immediato e non capisco se il riscaldamento sia acceso o spento, dato che il pulsante è sempre illuminato. Scendiamo dal Bondone estremamente soddisfatti: la Caterham si è dimostrata un’arma prodigiosa, e il percorso cucito su misura per uno sfilatino così emozionante. Ripercorro la Gardesana con il tramonto che incalza e ovviamente in coda, giungendo a casa felice, stremato e soprattutto vivo.

La Seven – perlomeno la 485 CSR – è un’esperienza diversa da qualunque altra sportiva; è delicata quanto un pugno alla gola, più elettrizzante della 220 nelle dita. Immaginate un grissino legato a un razzo, senza ABS o controlli di sorta, ma con un telaio sensibile e una ciclistica ben studiata. Ecco, la Seven è così. Se potessi la comprerei? Domani, ma non questa. Per quanto eccezionale la 485 è quasi esagerata su strada (non voglio immaginare la 620 R), sarebbero più equilibrate una 340 R o una 420 S, comunque imprendibili se guidate a dovere e magari configurate con sedili in carbonio e senza parabrezza. Per quanto sfiancante la Seven mi mancherà immensamente, tuttavia potrò consolarmi evocandone il ricordo ad ogni accensione del telefono.

Potete noleggiare questa esatta Caterham presso Romeo Ferraris, ad Opera (MI): non costa poco, ma sempre meno che drogarsi, e lo sballo è maggiore. Qui il link per chiedere info: https://www.romeoferraris.com/it/concessionaria/auto-noleggio/caterham-485-csr

 

Un grandissimo ringraziamento alla Romeo Ferraris e a Lorenzo

                                                                                                                                                                                                                                           

                                      di Tommaso Ferrari