TRIS D’ASSI

Il passo Crocedomini è stato il nostro parco giochi per raffrontare le tre generazioni di una delle migliori hot hatch di sempre

E’ sera tarda. Sto tornando verso casa al volante della RenaultSport Megane 265 Cup e sto riassaporando con calma tutte le qualità che questa splendida hot hatch può offrire, sia che si viaggi a velocità di crociera sia che si voglia semplicemente godere della spinta del motore o della qualità del telaio. Proprio qualche centinaia di metri prima dell’arrivo però mi faccio prendere la mano, entro in rotonda in seconda piena, rilascio leggermente il gas e la coda inizia e scivolare delicatamente verso l’esterno. Non è un movimento nervoso o improvviso, ma un leggero e progressivo sovrasterzo perfettamente naturale da controllare. Questo brevissimo e sfuggevole istante che chiude un’intera giornata passata a ammirare e provare le tre generazioni di Megàne RS aggiunge quella nota di chiarezza finale che serviva per ricomporre il puzzle nella mia testa e capire in cosa si differenzino tre auto così valide da guidare. Già, perché questo test di gruppo non comprenderà Aston Martin, Lamborghini o Ferrari ma ha un significato altrettanto importante dato che omaggia l’evoluzione di tre delle migliori hot hatch che il mondo abbia mai visto, dominatrici delle loro categorie nei rispettivi anni di uscita sul mercato. Renault ha sempre creato compatte sportive incredibilmente divertenti da guidare – dalla Clio Williams fino alla guest star di questo test, la Megàne 280 – e con questa comparativa vogliamo capire se il progresso non abbia abbandonato a bordo strada quella magia e quel brivido a noi tanto cari. Ecco perché non vedo l’ora di arrivare al punto di ritrovo, situato in Valcamonica, dalla quale si diramano numerose strade perfette per chi ama guidare.

Sistemate una accanto all’altra le tre Megàne ricordano che Renault non è solo brava a lavorare sottopelle ma anche esteticamente: non sono eccessive, ma che prendiate la seconda, terza o quarta serie di certo non farete l’errore di confonderle con le versioni base, e in un mondo popolato da pacchetti Amg, M sport o S line questo fa solo che piacere. Nonostante l’aspetto controverso e discusso del retrotreno è proprio la Megàne più vecchia a sfoggiare l’aspetto più aggressivo: sarà pure il colore scuro ad aiutare, ma quella posa acquattata sopra i cerchi da 18 pollici, quei doppi scarichi e le decalcomanie F1 Team non fanno presagire nulla di buono. La 265 Cup tenta di essere più elegante, con una carrozzeria curvilinea e degli spettacolari e lavoratissimi cerchi da 19 pollici, ma i passaruota gonfi all’inverosimile non vi ingannano neanche per un secondo sulla sua reale vocazione. E poi lei, l’ultima arrivata, la quarta versione della stirpe Megàne. Devo ammettere che dal vivo la 280 è bellissima: anche con un semplice bianco perla ha una presenza scenica impressionante, e anteriore e posteriore sono così equilibrati e accattivanti che non riesco a toglierle gli occhi di dosso. Ora però è giunto il momento di salire più in alto, per la precisione verso il Passo Crocedomini, una scenografica strada di montagna che si snoda vicino ai monti del Maniva e del Gaver e sotto al massiccio del Frerone. Le strade del Passo – che arriva a quasi 2.000 metri – non sono l’ideale per spingere al limite visto che non esistono guard rail e le vie di fuga sono prati quattrocento metri più in basso, ma la strada che da Berzo Inferiore arriva al Rifugio, beh, lo è eccome. Sostanzialmente si tratta di un misto stretto che comincia dal caratteristico paesino di Bienno e si sviluppa per i 23 chilometri successivi con un numero imprecisato di tornanti, contropendenze e curve più veloci che si rivelano un ottimo terreno per le tre sportive Renault.

Dopo un incontro anche troppo ravvicinato con una mandria di mucche che manda in fumo il tempo speso all’autolavaggio, arriviamo al Rifugio Bazena dove la strada comincia ad aprirsi svelando il panorama che ha reso così noto il Crocedomini e le sue montagne. Il pranzo si svolge rigorosamente a base di Bagos (un formaggio tipico di Bagolino, paese a pochi chilometri da qui) e dopo qualche ora dedicata a fotografare viene il momento di scoprire cosa differenzia queste tre diverse declinazioni della stessa ottima ricetta che dura da undici anni. Da quale iniziare? La 265 Cup la conosco bene e posso resistere ancora un po’ prima di riguidarla, mentre la 280 è una novità completa e mi attira da morire, così scelgo lei, anche perché così facendo sarà interessante notare le differenze con la più ‘analogica’ 230 che guiderò subito dopo. Come già detto, esteticamente la nuova Megàne R.S. è davvero notevole, cattura gli sguardi come poche e l’insieme di tagli decisi e curve nette della carrozzeria vengono completati da bellissimi fari a Led sia davanti che dietro. Internamente è un’altra enorme evoluzione rispetto alle progenitrici: la plancia è dominata da una specie di tablet stile Tesla, ma qui è molto più interessante visto che comprende l’R.s. monitor che vi informa su qualunque cosa da cavalli motore, coppia, temperatura aria aspirata, angolo di sterzo delle ruote (anche quelle posteriori ovviamente…), grafici della curva di coppia fino a – giuro – qualità dell’aria della zona. I materiali al tatto sono ottimi e l’aspetto è decisamente sportivo. I sedili marchiati R.s. non sono sottili e anatomici come i Recaro della 265 ma sono comunque avvolgenti, più morbidi e molto contenitivi, mentre il volante ha un’impugnatura perfetta.

Riguardo a questa Megàne sono due gli aspetti che più mi incuriosiscono: vedere come verrà gestito il peso che ormai è arrivato a 1.430 chili e il funzionamento delle quattro ruote sterzanti; ho anche una piccola riserva sul cambio che purtroppo non è manuale (sigh), ma visto che i tempi di consegna della Cup erano praticamente superiori ai tempi di progettazione il proprietario ha giustamente deciso di optare per la Chassis Sport. All’accensione la 280 cerca di impressionarvi in tutti i modi visto che il ringhio allo scarico è molto più sonoro del previsto e lo scenografico head up display esce da sopra i quadranti digitali che si tingono di toni rossi minacciosi. Appena partito vado alla ricerca di qualche curva per soddisfare le domande che ho in testa e vengo piacevolmente colpito dal sound dell’1.8 litri derivato dalla Alpine A110; sarà pure un po’ artificiale – in particolare gli scoppi durante i passaggi di marcia – ma suona meglio di un classico quattro cilindri turbo. Purtroppo però mi trovo a litigare presto con il doppia frizione della Megàne: il cambio in sé va benissimo ma i paddle sono fissi e collocati un po’ troppo in alto, il che significa che per raggiungerli bisogna allentare leggermente la presa sul volante e andare alla loro ricerca per scalare o salire di rapporto; se poi avete il volante sterzato ci vorrà parecchia fortuna. Nel salire di marcia uscendo da una rotonda presa piuttosto velocemente ho scoperto tutte le stazioni radio della Valcamonica, sono stato informato tre volte sulla qualità dell’aria (che per inciso qui in montagna è buona) ma in seconda ero e in seconda sono rimasto. Dovrò prenderci la mano. Per il resto l’EDC è un ottimo cambio, tranquillamente all’altezza dei migliori DSG come velocità di cambiata e fisicità dei comandi ma non riesce a nascondere l’altro difetto della 280, l’erogazione del motore.

Nonostante i 280 cavalli e i 390 Nm la spinta dopo i 5.000 giri svanisce e il sound del motore non viene più convertito in effettiva velocità. Questo comportamento è un po’ deludente ma il lato positivo è che tutta la coppia si trova fra i 3.000 e i 4.500 giri, dandovi più occasioni di sfruttare su strada la Megàne. E ora veniamo al peso. Più di 1.400 chili per una hot hatch non sono pochi eppure l’ultima R.s. riesce magicamente a nasconderli in curva grazie ad uno sterzo preciso e calibrato e al 4Control, (le quattro ruote sterzanti) una soluzione tecnica che mi ha davvero colpito. Già il ridotto sottosterzo e il pochissimo rollio mostravano la bontà del telaio Sport ma entrando irruenti in curva scoprite un posteriore felicissimo di allargare, e anche in questo caso in maniera assolutamente naturale tanto che cercate di provocare quel lieve sovrasterzo per annullare qualunque sottosterzo in uscita. Questo comportamento è in parte una sensazione dell’asse posteriore sterzante (in controfase fino a 60 km/h e in parallelo oltre i 100) e in parte risultato della nota capacità di RenaulSport di infondere magia nei suoi telai. Tirando le somme la Megàne 280 EDC non è stata per nulla snaturata dal progresso e dal corso degli anni restando una entusiasmante hot hatch da guidare, solo più matura. Interni e estetica appartengono ad un’altra categoria, e mentre il motore meriterebbe più verve e un cambio manuale (per quanto buono sia l’EDC), la parte che conta – telaio, sospensioni e sensazioni di guida – è ancora a livelli che ne fanno un punto di riferimento, tanto più che le quattro ruote sterzanti dissimulano perfettamente il peso in eccesso. Appena sceso dalla 280 mi accomodo sui sedili della R26 230 F1 Team e torno indietro nel tempo: plancia più spoglia, tre pedali, comodi sedili Recaro e un sound che all’accensione fa tremare le altre due. D’accordo, lo scarico non è esattamente originale ma già quello standard suonava bene e faceva chiaramente capire il carattere bellicoso della prima Megàne RS.

Sin dai primi metri la F1 mette le cose in chiaro, tirando fuori il teppista che è in voi. Mentre la 280 è maturata diventando un gentleman driver che beve scotch invecchiato e ha smesso con le risse da bar, la 230 è la prima a rompere la stecca del biliardo. Ad un interno non particolarmente sportivo la Megàne di prima generazione rimedia con sensazioni prive di filtri: lo sterzo è comunicativo, l’erogazione del motore dannatamente aggressiva e il differenziale autobloccante lavora a meraviglia. Come avrete notato questa non è la versione 225, ma l’edizione limitata 230 F1 Team che sfoggia quindi 230 cavalli e 310 Nm, telaio Cup, sedili Recaro, cerchi color Antracite, freni maggiorati con pinze rosse, scarico sportivo e un sacco di adesivi celebrativi che donano molto alla carrozzeria nera. Ma torniamo alla guida. La seduta è molto buona e anche se il freno sembra troppo vicino all’acceleratore il punta tacco riesce perfettamente, anche merito di un cambio preciso ma soprattutto fluido, persino più di quello della 265 Cup. L’esperienza di guida è dominata dalla fisicità della R26 e dal suo carattere vecchia scuola: come dicevo, il motore spinge davvero forte e senza interruzioni fino a quasi 6.000 giri e grazie al differenziale molto aggressivo tutta questa potenza viene trasferita all’asfalto senza problemi; certo, le reazioni di coppia al volante ci sono, soprattutto sulle sconnessioni, ma fa parte del divertimento. Il telaio Cup si rivela come sempre ottimo e piuttosto rigido, ma stranamente – anche se buona parte del merito va alle gomme semi slick montate su questo esemplare – il posteriore è molto più stabile del previsto. I freni sono potenti ma la corsa è un po’ troppo lunga prima di trovare davvero mordente e potendo scegliere appesantirei di più lo sterzo, ma tutto passa in secondo piano grazie allo scarico. Alla lunga forse (ed è un forse bello grosso) potrebbero risultare quasi eccessivi, ma al momento i suoi scoppi e latrati e i fischi della turbina mi stanno solamente stampando in faccia un enorme sorriso; rispecchia perfettamente il carattere prepotente della 230 F1.

Potete cercare di resistere e guidarla piano, ma non durerete molto. Ora però dobbiamo dedicarci alla sorella di mezzo, la versione 265 Cup della Megàne Rs. Già accomodandovi nell’abitacolo vi rendete conto del cambio di immagine rispetto alla F1 con degli interni non all’altezza di quelli della 280 ma comunque marcatamente più sportivi, e sedili Recaro sottilissimi e semplicemente perfetti: contenitivi, leggeri, avvolgenti ma comunque comodi sulle lunghe distanze. Il motore si avvia con una tonalità molto più timida delle altre due, e anche se è un peccato per un’auto così, si tratta di un dettaglio facilmente migliorabile. Quello che conta con la 265 è semplicemente la guida: affrontate con lei una strada piena di tornanti e tutte le qualità verranno rapidamente a galla. Lo sterzo è più pesante rispetto alla F1 e i freni sono molto simili come prontezza e potenza a quelli della 280, mentre il motore mantiene l’erogazione brutale della progenitrice fino al limitatore. Il telaio Cup è cristallino e i 360 Nm di coppia vengono scaricati sulle ruote anteriori grazie ad un differenziale autobloccante impeccabile: meno aggressivo di quello della 230 ma più accurato e equilibrato nell’azione, su strada si rivela straordinariamente efficace. Le sospensioni sono ferme e non troppo accondiscendenti con le buche, ma non così rigide da scuotere il corpo vettura, mentre la ruota interna sarà ben felice di alzarsi in curva ad ogni dislivello.

Il cambio è per l’appunto meno fluido della 230, non impreciso, ma con un’azione della leva più contrastata e dura, anche se non è esattamente un difetto. Una delle pochissime pecche della 265 è invece il sound, troppo sottotono per il tipo di auto e soprattutto non rispecchia le prestazioni di cui è capace la Megàne. A prescindere da queste sottigliezze il punto forte della seconda serie Rs è proprio l’equilibrio complessivo, il passo e il divertimento che riesce a generare su una strada ricca di curve. Dovendo proprio scegliere – anche se con un margine minimo – forse la più godibile di tutte è proprio la 265 Cup, per una semplice questione di armonia. Come estetica non può competere con la bellissima 280 Edc e la teatralità o qualità dei suoi interni, e non ha nemmeno l’aggressività della 230 F1, ma riesce a coniugare in sé tutti i pregi delle altre due, ovvero l’impetuosità di erogazione della R26 e la vivacità del posteriore e giocosità del telaio dell’ultima Megane R.s, insieme ad un’accuratezza e efficacia sorprendenti. Volevamo capire le diversità caratteriali e tecniche delle tre generazioni Renault e le abbiamo trovate, ma abbiamo anche scoperto tre auto entusiasmanti da guidare, seppur grazie a maniere differenti. E no, con l’ultima Megàne 280 Edc la magia non si è decisamente persa per strada.

Un grandissimo ringraziamento a Claudio, Fabrizio e Mauro

di Tommaso Ferrari