LA BELVA E LA BESTIA
Coinvolgente da non credere, criminale, viscerale, sbalorditiva… la Huracàn STO è follia su quattro ruote, e la più eccitante auto che abbia provato finora.
Al momento c’è un turbinio di ricordi frammentati e confusi a ingombrare la mia testa: un limitatore di terza nel bosco accompagnato da un sound furioso, un paio di bellissimi traversi a salire dal Passo della Futa, io che litigo con i comandi al volante della Urus, la presa di una stupida auto elettrica, il look da prototipo della STO, il suo allucinante senso di coinvolgimento, io che mi innamoro di lei… etc. etc. A volte, così per caso, capita che tutti questi frammenti rallentino per una frazione di secondo permettendomi di incastrarli a dovere, componendo il ricordo di una giornata assolutamente eccezionale. E questo che segue, è il racconto di tale, incasinata, meravigliosa, giornata. Come alcuni sanno capita che faccia servizi e prove su strada per Evo Italia, così quando è saltato fuori che il direttore doveva andare a provare l’ultima Huracàn STO proprio a S. Agata ho fatto in modo di sembrare la persona più utile del mondo per un secondo parere e qualche scatto in più. E ha funzionato. Due settimane di estenuante attesa dopo mi trovo a varcare i cancelli della fabbrica Lamborghini, sede anche del museo, un bellissimo edificio di specchi e vetrate dove attendiamo la ‘nostra’ STO. E qui iniziano i casini. La camera car che abbiamo a disposizione per gli scatti (non chiedetemi perché) è una maledetta Kia elettrica, silenziosa e comoda quanto si vuole, peccato che una volta attaccata alla colonnina lo schermo segni uno sconfortante quattro ore e trenta per la carica completa. Un bel problema, perché senza un baule dove cacciare il fotografo (per una volta io starò bello comodo al volante) niente scatti dinamici, che tendenzialmente sono piuttosto scenografici. Dopo un po’ di panico, idee e l’ipotesi di un itinerario più breve ecco che l’addetto stampa Lambo ci fa: “beh, possiamo prestarvi una Urus”.
Devo averlo guardato con l’affetto che generalmente riservo al manzo all’olio, perché per me significava guidare due Lamborghini anziché una – seppur un Suv – e soprattutto evitare quella scatola elettrica ancora in carica. Lo ammetto, ho avuto culo. Nel mentre arriva anche la Huracàn, all’inizio in colorazione azzurro e arancio (perde un po’ in cattiveria così colorata ma di certo risalta il lavoro aerodinamico) e poi – visto che dopo una mezz’oretta di scatti si scopre che avevamo ricevuto la STO sbagliata – in un minacciosissimo verde opaco. Che dire, fa paura. State lì, incantati a guardarla e nel mentre sperate che non vi sbrani all’improvviso. Con questa livrea la STO pare quasi un prototipo in via di sviluppo, un qualcosa dai limiti ancora indefiniti tanto sono elevati. La carrozzeria è sbalorditiva: ovunque posiate lo sguardo ci sono aperture, condotti, prese d’aria, feritoie e un’ossessiva attenzione all’aerodinamica per manipolare l’aria. Il “cofango” anteriore è un blocco unico di carbonio, con due voragini che aiutano il raffreddamento dei radiatori, dissipano il calore in eccesso e al tempo stesso riducono la resistenza aerodinamica. Per lo stesso motivo il posteriore è prevalentemente cavo, sormontato da un’ala doppia regolabile che può far arrivare la deportanza a 420 chili, il 53% in più rispetto alla Performante. Al di sopra dei passaruota posteriori ci sono persino due scanalature che incanalano l’aria e una pinna centrale in stile Jesko per garantire una maggior stabilità alle alte velocità; roba da efficacia totale, non a caso STO sta per “Super Trofeo Omologata” visto che tante, ma veramente tante soluzioni sono riprese dalla sorella da corsa. Come se non bastasse è stato limato via tutto il possibile per arrivare a 1.339 chili a secco (43 kg meno della Performante) ricorrendo a vetri più leggeri, interni più spartani con regolazioni manuali, tappetini inesistenti, laccetto rosso come sulla GT3 per aprire le portiere e dicendo addio alla trazione integrale, cosa che renderà l’esperienza di guida ancora più estrema.
Però inizialmente nulla di tutto ciò, devo accomodarmi nella Urus che è esattamente l’opposto di quanto appena descritto. Pelle e Alcantara ovunque, telecamere a 360°, sedili riscaldati, impianto audio Bang & Olufsen, un infotainment da astronave e persino più cavalli (dieci) della STO, sprigionati da un V8 biturbo 4.0 litri. Anche qui il connubio italo-crucco funziona alla grande unendo la funzionalità Audi allo stile italiano per produrre una grafica fantastica, specialmente in modalità Corsa. La modalità Strada dura circa 4 secondi: la guida è piuttosto confortevole e curata (anche se non quanto mi aspettassi) e gli scarichi sembrano silenziati usando dei furetti, ma il cambio automatico inserisce l’ottava praticamente a 60 km/h e c’è troppo lag generale negli input; dopotutto ho davanti una STO da seguire. Sposto il manettino “Anima” (nome fighissimo, non mi importa se sa un po’ di tamarro) in Sport e la grafica si incattivisce, gli scarichi iniziano a brontolare e a tirare qualche fucilata già scalando a 2.500 giri e il motore diventa più pronto, peccato per l’assetto rigido ma troppo secco e poco controllato. Prendiamo l’uscita che porta ai Passi della Raticosa e della Futa e la STO – probabilmente se ne sono accorti anche in Umbria – comincia a scaldare la voce allungando tra le curve. Inserisco l’ultima spiaggia per l’inseguimento, la modalità Corsa, e anche se la Urus continua a pesare come una cattedrale gotica il motore diventa impressionante, con una spinta che nelle prime tre marce costringe ad aggrapparsi al volante; ebbene sì, 650 cavalli e 850 Nm fanno effetto anche su 2,2 tonnellate. Devo ammettere poi che il sound in Corsa è fantastico, con scoppi e detonazioni rabbiosi dai quattro scarichi e scalate incazzatissime.
I freni seppur enormi hanno il loro bel daffare a fermare la massa della Urus – anche perché va mica piano sta petroliera – e c’è tanta, tanta deriva nei movimenti eppure, non so come, riesco a restare in vista dello spettacolare posteriore della STO che curva piatto come una tavola mentre io mi sento in cima ad una palma durante un temporale. Con i controlli staccati (e una enorme scritta NO ESC che vuole salvaguardare chi la compra solo per abbinarla alle sue catene d’oro) la Urus in realtà non cambia granché con tutto quel peso e la trazione integrale, che soffre sotto l’assalto del V8 biturbo ma riesce a mantenere un sacco di grip in uscita. Detesto però il volante, visto che al limite non smetto un attimo di urtare i tastini sulle razze, attivando qualunque funzione possibile non richiesta. Pranziamo nella tranquilla Loiano e ripartiamo – facendo felici tutti gli spettatori in piazza – verso il Passo della Raticosa, che viene archiviato in poco tempo tra stridore di gomme (del Suv Lambo) e sound apocalittici (prevalentemente della STO). L’arrivo allo Chalet Raticosa non passa inosservato: decine di persone ci circondano e riempiono di domande, scatti e video, sconvolte dal suono e dal look letale della Huracàn più estrema di sempre; anche la cattedrale biturbo riceve un sacco di attenzioni. Nonostante non ami i Suv devo dire che la Urus è stata notevole, dinamicamente fa quello che può ma la potenza, gli interni, il sound e anche la sua discreta comunicatività mi hanno sorpreso. Ora basta però, c’è una Super Trofeo Omologata che aspetta di mangiarmi vivo, quindi passiamo alle cose serie. Finiamo gli scatti percorrendo il Passo della Futa fino ad un meraviglioso viale di cipressi, e finalmente io e lei possiamo rimanere da soli. I primi minuti li passo con la chiave in mano, semplicemente a gustarmi di nuovo quella carrozzeria solcata da tagli, cavità, scanalature, ali che piegano l’aria al loro volere, poi prendo coraggio e mi accomodo all’interno.
Clima e navigatore ci sono, il resto è meravigliosamente analogico e focalizzato sulle prestazioni: regolazioni manuali, laccetti al posto delle maniglie, pochissimo materiale fonoassorbente, stupendi gusci in carbonio dove accomodarvi e un manettino con le tre modalità “Va che devi essere buono a guidare”, “Terrore seguito da perdita dell’udito” e “Occhio che è scivoloso e potresti stamparti”. O meglio, in Lamborghini avrebbero voluto chiamarle così ma visto il poco spazio sul volante si sono limitati a “STO”, “Trofeo” e “Pioggia”. Premo il pulsante da caccia sulla plancia, risveglio il mostro dormiente e mi ritrovo in una delle guide più incredibili della mia vita. Giuro, non ho la minima idea di come abbiano fatto a creare qualcosa di simile: la ferocia del motore, la trasparenza di sterzo, la spinta incessante, l’inserimento devastante in curva, la rigidità del telaio… la STO demolisce letteralmente il Passo della Futa. Metto in modalità Trofeo (tutto si incattivisce ulteriormente e la maggior parte dei controlli vi saluta) e persino l’asfalto comincia a tremare. Il V10 5.2 litri è lo stato dell’arte, furioso, selvaggio, ha una violenza – anche grazie ai rapporti corti del doppia frizione – talmente esagerata che il vostro cervello fatica a starci dietro. Non è un motore, è la fusione di due vulcani attivi. Oltre i 5.000 giri il sound, che pare il lugubre lamento di qualche animale preistorico, diventa un urlo intossicante e acuto, mentre le curve si susseguono come in un film accelerato; il limite che pensavo esistesse su strada si è appena alzato di qualche decina di tacche. La cosa più sbalorditiva però è il senso di connessione che la STO vi regala… se sopravvivete. La rigidità e la qualità di assetto e telaio sono mozzafiato, siete in questo involucro di carbonio e percepite ogni singola sfaccettatura dell’asfalto o imperfezione ripercuotersi brutalmente sulla vostra schiena.
Non è certo una guida riposante, ma ca**o se è eccitante. Un telaio così intenso e comunicativo l’ho trovato solo nelle auto da corsa; quando poi si scaldano le Bridgestone Potenza Race e inizio a sentire un fiume di sassolini nei passaruota interni vado in estasi. L’inserimento in curva se non bastasse ha del miracoloso: lo sterzo a rapportatura fissa (grazie al cielo non è stato mantenuto il Dynamic Steering) è fenomenale, iper diretto, tremendamente reattivo e quasi telepatico; pensate di inserirvi in curva e lei lo sta già facendo, infastidita perché voi siete troppo lenti. Il cambio è fulmineo, e nonostante sia un doppia frizione è stato (benissimo così) tarato per essere brusco e poco misericordioso, con rapporti cortissimi che aizzano il propulsore nucleare dietro le vostre spalle. Il livello è così alto che su strada è forse troppo, tanto più che la STO al limite non è docile e amorevole: quando parte di traverso – e lo fa – è piuttosto nervosa. Ho fatto un paio di scenografici sovrasterzi con l’adrenalina alle stelle, ma raramente capitavano traversi lenti e progressivi. Di contro i freni sono rassicuranti e mostruosi, con una modulabilità eccelsa e una potenza frenante capace di scavare nell’asfalto e scomporvi i polmoni; da 100 a 0 in trenta metri, zero fading e anche in velocità avete una staccata compostissima. Come potete vagamente intuire, sono innamorato della STO, e basito: è un capolavoro, specializzata all’estremo e tutto – dal motore, alle sensazioni, al telaio – ad un livello che non avevo mai sperimentato, se non appunto su poche auto da corsa. La Ferrari 360 Challenge ex-ufficiale la ricordo come l’auto migliore che abbia guidato, rabbiosa e raffinata allo stesso tempo, ma la STO è persino più impressionante, proprio perché stradale.
Aver creato qualcosa di così puro, viscerale, folle ma omologato su strada è commovente, e Lamborghini ha appena ricordato al mondo perché è una delle migliori quando si tratta di sbalordire tutti. Il ritorno dal Passo della Futa è balistico come l’andata con i freni che giocano a Memory con i miei organi interni e quel telaio straordinario che mi conquista sempre più. C’è un altro piccolo dettaglio riguardante la STO: non ho mai, mai attirato tanto l’attenzione in vita mia. Persone che vogliono fare una foto alla Lambo, che filmano, che vi affiancano per chiedervi di fare qualche accelerata, che vi riempiono di quesiti o vogliono sedersi all’interno, che vi invitano a pranzo o che attendono a bordo strada col telefono perché è da dieci chilometri che sentivano arrivare me e la Huracàn. Per una giornata è bellissimo, da proprietario – come mi dicevano i responsabili Lambo – può essere stancante. In autostrada cerco di stare buono buono dietro alla Urus ma quegli strumenti musicali alle mie spalle sono nati esclusivamente per convertire benzina in soave rumore, così non resisto a formare nuove crepe nelle gallerie della Bologna-Firenze. La spinta del V10 resta brutale, sarà anche aspirato ma flettete il piede destro e in breve sarete a velocità decisamente non riportabili, con la STO che non si scalfisce nemmeno in curve da Nascar affrontate a tuono. Sono così assuefatto dalla Huracàn che succede il disastro: mentre aspetto la Urus una famigliola felice (con bambini, papà e mamma con gli occhi sgranati) si affianca incitandomi a spingere per l’ennesima volta, vuoi non accontentarli? Giù due marce, il motore della Lambo squarcia l’aria, non capisco più nulla mentre la STO si invola e… sbaglio uscita dell’autostrada.
C’è solo un insignificante problema: quando guido non sopporto avere cose in tasca quindi ho solo la patente e il telefono, mentre il portafoglio è rimasto in uno zaino. Zaino che si trova nella Urus! Ebbene sì, al casello ho dovuto sfoderare i miei occhioni da “Gatto con gli stivali in Shrek” – mettendo ben in mostra la STO – e raccattare i quattro euro del pedaggio da un passante basito; immagino che quella sera avrà avuto un gran bell’aneddoto da raccontare… . Poco male, è tardi e devo ritornare in fretta a S. Agata usando solo strade interne, il che mi dà l’occasione di godermi ancora la STO e di assaporare per un’ultima volta i pregi di un’auto che mi ha scosso nel profondo. Ci sono persone che usano l’espressione “auto da corsa con la targa” per descrivere anche un carrello della spesa o pesanti sportive che nulla hanno a che fare con le sensazioni di una vettura da corsa, in questo caso invece la Huracàn può tirarsela quanto vuole per la sua sigla, perché se la merita dalla prima all’ultima lettera. Senza dubbio. Aver provato sia la Urus che la STO mi ha dato l’opportunità di toccare con mano la differenza tra la “macchina da soldi” di S. Agata e quella per dimostrare al mondo di cosa diavolo è capace Lamborghini, e in entrambi i casi l’obiettivo è centrato in pieno. La Urus ha sorpreso il mio scetticismo e di certo conserverò per sempre il ricordo della STO come una delle guide più memorabili della mia vita, qualcosa che sarà estremamente difficile da superare. Ora devo solo vedere se le monetine nel mio salvadanaio bastano per arrivare a 300.000 euro… alla peggio so dove andare per reperirne altre.
Un grandissimo ringraziamento a Lamborghini per questa giornata
di Tommaso Ferrari