CARTA DA PARETI
Dopo vent’anni sulla scena la ‘Murci’ fa ancora sognare gli appassionati grazie al suo celestiale V12, alle linee sensuali e ad un’esperienza di guida unica
Questa è speciale. E’ speciale perché quando ero piccolo io in camera non avevo il poster di una Countach, di una Testarossa o di una 911, ne avevo uno con lei, una gloriosa Murciélago gialla con le portiere sollevate che si riflettevano in uno specchio d’acqua. E per il me di nove anni quello era quanto di più vicino alla pornografia conoscessi. D’accordo, non era l’unico poster sulla parete eppure quelle curve imponenti, i tagli netti e quel motore grondavano letteralmente sex appeal, e non hanno mai abbandonato i miei sogni. Le Lambo sono sempre state follia e ragione, più follia in realtà, esagerate e chiassose come la definizione stessa di supercar. A partire dalla meravigliosa e seducente Miura fino alla selvaggia Diablo, passando attraverso “l’astronave degli anni ‘70” – la Countach ovviamente, che ha spento da poco le 50 candeline – ogni Lamborghini V12 ha rappresentato uno sbilanciato mix tra ragione e pazzia, squisita ingegneria e alcolici ben invecchiati. “Eh ma la Murciélago è già Audi” direte voi. Verissimo, nel 1998 la casa degli anelli si accaparra la casa del toro salvandola da una situazione finanziaria decisamente poco rosea… ma non pensate nemmeno per un secondo che ciò abbia reso la Murci sbiadita o sottotono, fareste un errore madornale. Nata nel 2001 per sostituire la ormai datata Diablo la nuova V12 Lambo cuoce i riflettori del Salone di Francoforte: porte ad apertura verticale, scenografiche prese d’aria retrattili, scarichi che puntano verso il cielo, supporti dei poggiatesta simili alle corna di un toro e un look che abbandona un po’ della brutalità della Diablo per guadagnare curve più pulite; anche senza sette scarichi, lanciafiamme e quattro alettoni la linea del designer belga Luc Donckerwolke è spettacolare.
Dal vivo – specialmente in questo rarissimo Rosso Andromeda – la Murci calamita l’attenzione nel raggio di chilometri, esattamente come una pin up fuggita veramente dal proprio poster sulla parete. La meccanica non è da meno, il V12 ancora imparentato con la Miura si evolve dal 6.0 litri della Diablo SE in un 6.192 cc da 580 cavalli e 650 Nm di coppia, trazione integrale, 333 km/h di velocità massima, cambio manuale (o automatico in seguito) e uno 0-100 in 3,8 secondi, senza launch control e con un’elettronica di due decenni fa. Impressionante. Come da tradizione il nome Murciélago deriva da un feroce toro da combattimento, in questo caso appartenente all’allevamento di Joaquìn del Val de Navarra, che fu in grado di resistere a 24 picche nel corpo e combatté con talmente tanta foga che il matador decise di concedergli la grazia, lasciandolo vivere e regalandolo all’allevatore Don Antonio Miura. Probabilmente il povero toro avrebbe preferito entrare nella storia un pelo prima della ventiquattresima picca, o anche della ventitreesima, ma almeno gli è stata dedicata una celebre Lamborghini e non qualche insipida caffettiera ibrida. Percorro i 200 chilometri che mi separano da Modena impaziente, sono ansioso di provare quell’analogico V12 e il brivido di soggezione che produce un’auto così imponente e scenografica, tanto più che la Murci a disposizione è piuttosto speciale. Innanzitutto è manuale: ho cercato in lungo e in largo una versione con tre pedali, più comunicativa, meccanica, desiderabile e di certo più coinvolgente del cambio automatico disponibile come optional; non era tragico, è che rispetto ai doppia frizione moderni sembra di vedere Internet Explorer contro l’ultimo aggiornamento di Chrome. E poi, come sperimenterò a breve, il suono di quella leva in alluminio che scivola nella griglia aperta è qualcosa di semplicemente poetico. Come seconda cosa la ‘mia’ Murci è appunto verniciata in Rosso Andromeda, un colore originale di fabbrica e incredibilmente raro abbinato a particolarissimi interni blu delfino (sembra un pugno in un occhio detta così, invece è una bomba).
Infine, ha soli 34.000 chilometri, il che significa che il motore non dovrebbe aver perso un briciolo della sua cattiveria originale. Forse quest’ultima non è una lietissima notizia calcolando che è Venerdì 17, Modena pare un covo di gatti neri e danno pioggia con una supercar enorme e prevalentemente a trazione posteriore; fortuna che non sono superstizioso. Scendo nel salone sotterraneo dell’Autoluce, accendiamo qualche neon e un frontale scolpito mi fissa in penombra; la Murci è minacciosa anche quando riposa. Non ci sono storie, le linee secche, taglienti, i bellissimi fari e le proporzioni maestose rendono la Murciélago dannatamente magnetica. E’ incredibile che un’estetica simile abbia vent’anni e un tale carisma con tratti apparentemente semplici; persino l’Aston Martin Vanquish non è invecchiata così bene. Mi calo nell’abitacolo inizialmente come passeggero e da Modena ci dirigiamo verso Maranello, dove non resisto ad uno scatto ricordo davanti alla fabbrica della Ferrari, acerrima rivale di S. Agata Bolognese. Perdonaci Enzo, andava fatto. Da lì ci spostiamo ancora più a sud per goderci le strade dell’Abetone, popolate da muletti di Maranello – incrocio una 296 GTB e quella che sembra una 812 pesantemente camuffata – e ricche di scenografiche vedute sulle dorate colline modenesi, o perlomeno così raccontano visto che il meteo non gioca a mio favore e quasi subito minacciosi nuvoloni neri tentano di spegnere il bellissimo rosso della Murci. Poco male, una Lambo sa sempre come farvi felici. Ovunque andiate, a qualunque velocità siate, farete scalpore: la gente vi fissa, vi incita, i bambini applaudono e sorridono ansiosi di sentire il V12 in azione, persino in un luogo dove 599 GTB e 458 Italia sono più comuni di una Daewoo Matiz. Ogni volta che ci fermiamo per uno scatto c’è sempre qualcuno che si avvicina ammirato, attratto dal fascino della Murciélago, e una signora ci invita persino nella sua pittoresca cascina per due chiacchiere.
Tra un discorso e l’altro però c’è qualcosa che non torna, sto socializzando con tutti tranne che con la star di questa giornata ed è assolutamente ora di rimediare. Tiro leggermente verso di me la maniglia della Murci e accompagno verso l’alto la scenografica portiera: inutile far finta di nulla, sono già cotto, la Lambo vi fa veramente sentire come un divo di Hollywood al centro del red carpet. Richiudo la portiera con un solido ‘clunk’ isolandomi dal mondo e per qualche minuto mi lascio coccolare da un abitacolo particolarmente sobrio ed ordinato, colore blu a parte. E’ tutto così… teutonico, in particolare lo sportellino ribaltabile che richiama quello dell’Audi TT e la disposizione accurata di strumentazione e cruscotto. In una Lambo vi aspettereste il tachimetro sul poggiatesta del passeggero e la regolazione dei sedili sul tetto, tuttavia questa cura non dispiace affatto; l’unico aspetto tristanzuolo è il volante dato che il logo del toro si intravede a malapena e la forma avrebbe potuto essere più aggressiva. Inserisco la chiave nel quadro, cerco per qualche ora la cintura (che è fissata a destra, al centro dell’abitacolo) e richiamo al dovere i 580 cavalli del V12 che sta alle mie spalle. Brividi. Pensavo che la frizione mi azzannasse la gamba invece è sorprendentemente modulabile e docile – per quanto possa esserlo una frizione che debba gestire 650 Nm – e nemmeno troppo pesante, così parto facilmente alla volta di una strada guidata. La coppia del V12 sbalordisce subito, nonostante i quasi 17 quintali la ripresa è immediata, persino in quarta a 2.000 giri iniziate ad affondare sempre più nel sedile mentre la lancetta del tachimetro si arrampica senza sosta verso l’alba di una nuova patente. E per ora me la sto prendendo comoda. Scalo un paio di marce, faccio scivolare la leva nella griglia fino in seconda e spalanco tutto: nel raggio di cinque chilometri ibride e elettriche si rintanano spaesate e le colline si riempiono del fragore di un V12 lanciato verso gli 8.000 giri.
Il timbro del 6.5 litri aspirato passa da seducente a spettacolare a selvaggio in poche decine di metri insieme ad una spinta monumentale, il mio sorriso diventa più ampio degli airbox in carbonio della Murci e il bosco si trasforma in confuse strisce verdi attorno alla Lambo. Il buon vecchio poster d’infanzia non sta deludendo. Ah, e non parliamo del cambio: un gioiello, una trasmissione talmente squisita che andrebbe dichiarata patrimonio dell’Umanità. Temevo che quella bellissima leva in alluminio fosse dura e contrastata come nelle vecchie Ferrari, invece scivola tra le scanalature al pari di una lama nel burro e con la grazia di una ballerina, autentica meccanica all’opera per distribuire al meglio tutta la coppia del motore. Il culmine di quest’assalto sensoriale è il meraviglioso clack-clack prodotto dall’alluminio che abbraccia altro alluminio, un manifesto sonoro a favore del cambio manuale rispetto al meno intrigante E-Gear, supportato dal seducente urlo del V12 quando fate il punta tacco. Su queste strade – non esattamente svizzere – le sospensioni originali appaiono piuttosto stanche, rigide ma poco composte in compressione e nel contrastare il rollio, e anche i freni potrebbero avere più mordente fin da subito. A onor del vero il percorso che conduce all’Abetone non è troppo adatto all’immensa Lambo e alle sue prestazioni: l’ultima volta che sono stato qua avevamo una Focus RS Mk2 e una Fiesta ST, due hot hatch che potete guidare costantemente al limite (non che lo abbia fatto signor Agente) mentre con una supercar capace di 210 km/h in terza, beh, la cosa è più complicata… anche se nulla vieta di tentare. Accarezzo nuovamente la gabbia aperta e la Murci si lancia in avanti con un ululato, lo sterzo compatto comunica quanto basta attraverso la corona e le spettacolari prese d’aria si sollevano per nutrire al meglio tutti e dodici i cilindri.
In inserimento il telaio della Murciélago non è preciso come – per dirne una a caso – una Evora 400 ovviamente, eppure percepite ugualmente quell’agilità di una supercar a motore centrale, solo nascosta sotto due o tre quintali di troppo. Il peso del posteriore è rilevante, e a dispetto delle quattro ruote motrici non è facile tenere sempre in trazione il retro su questo asfalto sconnesso; esagerare con la Murci è un po’ come il tavolo da blackjack per un giocatore d’azzardo: sapete che potrebbe farvi tanto male, ma non riuscite a starci lontano. E’ una lotta continua tra il grip delle gomme, la spinta incessante del V12 e lo spazio a disposizione, che tende a finire parecchio rapidamente sotto l’assalto della Murciélago. In pista mi sarei trovato più a mio agio – un po’ meno i freni – eppure anche su queste strade la Murci regala tonnellate di emozioni. Molti definiscono la Murciélago l’ultima Lamborghini vecchia scuola: in realtà è una via di mezzo, un filo conduttore tra la scontrosa Diablo e l’Aventador della rivoluzione digitale dato che conserva un carattere analogico (tre stupendi pedali, un celestiale V12 aspirato e la tendenza ad uccidervi se esagerate) condito da qualche tocco di modernità (come il sollevatore anteriore e una frizione facilmente gestibile). Non è un compromesso, è il giusto bilanciamento tra due mondi opposti. La Murci non è esente da difetti, ci sono auto più agili e meno complicate da portare al limite, e magari non larghe quanto un autotreno, eppure anche a distanza di due decenni questa nostalgica supercar vi coinvolge e vi impressiona come poche altre vetture. Volevo dare indietro il mio vecchio poster anziché le chiavi, ma non hanno accettato. Peccato.
Un ringraziamento a Riccardo e Daniele del salone Autoluce
di Tommaso Ferrari