UN TRIANGOLO DA 9.500 GIRI
Anche quest’anno ho fatto un salto ad Asi in pista, un trackday con raduno annesso per stradali e storiche da competizione. Uno show vintage da brividi, condito dalla prova di una youngtimer mossa da uno dei propulsori più chiacchierati e discussi di sempre
E’ come fare birdwatching, eccetto per i decibel e per il fatto che i soggetti in questione siano avvistabili senza ore di immota attesa. Sto osservando una Skyline GTR R32 abbondantemente preparata sputare fiamme ad ogni cambiata nel tentativo di seminare una Lancia 037 ex Gr. B, mentre nel paddock di Varano una Delta S4 e una Fiat 131 Abarth stanno scaldando i motori. A circondare questo quartetto italo-giapponese ci sono una quantità impressionante di sportive classiche e youngtimer: Audi RS2, Alfa GTV, Porsche 996 GT3, TVR Griffith, Ferrari Testarossa, Uno Turbo Gr. A, Celica GT-Four, Lotus Elise S1… . Parrebbe un sogno lucido, invece è ASI in Pista, un evento organizzato dall’Automotoclub Storico Italiano che negli ultimi anni sta acquisendo sempre più popolarità e sostanza. Spiegare il suo funzionamento è semplice: pagando una quota di iscrizione ogni tesserato ASI ha la possibilità girare in pista a Varano de’ Melegari per quattro turni con la propria sportiva ultraventennale, che sia da corsa (costruite fino al 1994) o stradale (costruite fino al 2004).
L’evento include anche una sessione speciale di omologazione ASI dedicata alle supercar e alle storiche da competizione per l’emissione del CRS, mentre a fine giornata vengono assegnati numerosi premi tra cui l’ambito ‘Best of Paddock’ valutando le decine di rarità presenti. Entità parecchio minacciosa è stata certamente la Lancia Beta Montecarlo Turbo Gr. 5 del 1979: direttamente dal museo Dallara questa belva turbocompressa sviluppa oltre 500 cavalli da un piccolo 1.4 litri, che le permisero di dominare il Campionato Mondiale Marche nel 1980 e 1981; l’ASI ha consegnato la Targa Oro direttamente nelle mani dell’ingegnere emiliano. A tener compagnia alla Beta c’erano una recentissima Dallara Stradale (pronta a spaventare alcuni fortunati estratti a sorte lungo il circuito ‘domestico’ del marchio) e il campione di rally Fulvio Bacchelli, ex ufficiale Fiat negli anni ’70, per non parlare della rarissima (solo tre esemplari al mondo) Abarth SE027 del 1973, ultimo progetto di Sport Biposto realizzato da Karl Abarth.
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All’ASI tutto ciò pareva poco, così – come una nonna apprensiva verso il vostro scarso appetito – l’ente italiano si è portato dietro anche qualche centinaio di litri di biocarburante Sustain Classic prodotto dalla Coryton, lo stesso che ho provato lo scorso anno su una Corvette C4 e che tanti partecipanti han voluto sperimentare. Non so se sarà il futuro, ma me lo auguro tanto. Quest’anno dobbiamo dimenticarci la luminosa e calda giornata dello scorso anno, è nuvolo e la vallata dell’autodromo è un frigo bar, però almeno non piove. I partecipanti sono accorsi da tutto il Nord e il Centro Italia per sfruttare al massimo le proprie sportive, con tutto il vantaggio di un trackday più calmo e a misura di neofita rispetto a tanti altri: immaginate chi si approccia per la prima volta alla pista con la sua piccola e tenera Suzuki Swift Sport, per poi finire in pasto ad un branco di 991 GT3, Exige, Caterham, Cayman GT4 e Nissan GTR; ecco, ad ASI in Pista il clima è più disteso e meno maniacale, più da appassionato romantico.
Molti partecipanti sono guidatori esperti che ricercano limiti di grip e punti di corda come i porcini a Settembre, tanti altri si sono avvicinati da poco al mondo dei trackday, cogliendo al volo quest’occasione per migliorare. Consiglio vivamente di appuntarvi l’evento per l’anno prossimo, anche solo da spettatori, l’ingresso è gratuito e potrete rifarvi gli occhi con una sfavillante varietà di storiche e youngtimer: dalle ‘semplici’ Mx-5 NA Merlot, Nissan 350 Z, Impreza, Alpine A310, TT 3.2, Duetto etc. fino a mezzi ancora più consistenti e rari come prototipi e formulini anni ’70 e ’80, Delta Martini, 911 Carrera 2.7 RS, Giulia GTA, svariate Ferrari e tante altre gemme di quando nessuno al mondo trovava intelligente fare il pieno attaccato ad una colonnina della corrente. Bei tempi, che fortunatamente continuano a vivere grazie ad enti come l’ASI e ad ogni petrolhead come noi.
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Tutto bellissimo, ma essere ad un buffet senza poter assaggiare nulla non è piacevole. La soluzione ai miei problemi è stata una fiammante Mazda Rx-8, gentilmente concessaci in prova dal proprietario Simone che solo pochi mesi fa ha acquistato l’ultima vera testimonianza del Wankel. Vedrò di non graffiarla. La Rx-8 è sempre stata giudicata una vettura controversa: innovativa nel design, mai banale, una buona coupé Gran Turismo nonché baluardo di una tecnologia particolarissima, messa in ombra dalla difficile manutenzione e dalla scarsa affidabilità. Immaginate il Renesis 13B-MSP (il motore rotativo che equipaggia la Rx-8) composto da un ovale (lo statore) all’interno della quale ruoti un triangolo (il rotore), anche se tecnicamente parliamo di forma epitrocoidale a due lobi e triangolo di Reuleaux; quest’ultimo nel girare eccentricamente sull’albero motore forma tre camere di scoppio negli spazi restanti dello statore, scoprendo e coprendo sistematicamente le luci di aspirazione e scarico della miscela di benzina e aria. Il risultato sono tre cicli Otto in contemporanea, sfalsati di 120° come tempistiche; geniale, ma oltre ai vantaggi (leggerezza, semplicità e elevato rapporto Cv/litro) vi sono inevitabili svantaggi, come una precoce usura del rotore, una conseguente perdita di compressione e consumi elevati sia di benzina che di olio, ecco perché si dice sarcasticamente che le Rx-8 vadano a miscela. La GT Mazda non si perde d’animo e le tenta tutte per entrare nelle vostre grazie: da una cilindrata teorica di 1,3 litri – buona per un temperamatite nel segmento delle coupé sportive – la versione High Power ricava 231 cavalli e 212 Nm, ha un limitatore posto a 9.500 giri, l’estetica ancora oggi è davvero personale (costellata di riferimenti al rotore sia dentro che fuori) e le porticine posteriori controvento non smetteranno mai di fare scena.
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Per testarla a tutto tondo non mi dirigo verso la pista, abbandono la scelta ovvia in favore di una tortuosa e variegata strada che collega l’autodromo a Solignano, un tratto che adoro nonostante l’asfalto non sia proprio un morbido petalo di rosa. Appena acceso il quadro della Rx-8 un rivolo di sudore percorre il mio collo: si vocifera che 100.000 chilometri (a stare generosamente larghi) senza rifare un Wankel siano un terno al lotto, e la strumentazione digitale mi fissa con uno snervante 105.000; fortunatamente ci metterò poco a capire di non dovermi preoccupare. Il Renesis ha poca coppia, lo si sa, e ai bassi la spinta contro il sedile è simile a un pacioso treno a vapore che lascia la stazione, tra i 3.000 e i 6.000 giri il carbone inizia a fare il suo dovere e tra i 6.000 giri e il limitatore la caldaia si infiamma, la velocità aumenta e finalmente percepite una dignitosa pressione sulle spalle accompagnata da un sound unico.
La nota vocale della Rx-8, anche con lo scarico originale rimontato da Simone, agli alti è penetrante, perforante e soprattutto inconfondibile, come un trapano che da grande vorrebbe fare la vettura da corsa. Il timbro del Wankel – e la scarsa coppia ai bassi – vi invoglia a tenere alti i giri del birotore, una zona dove volente o nolente devo galleggiare se voglio ottenere la miglior esibizione possibile dalla giapponese. L’insidiosa superficie che scorre sotto i cerchi da 18’’ mette subito in luce la condizione degli ammortizzatori posteriori di questo esemplare, stanchi di vivere e desiderosi di essere già in pensione, ecco perché mi trovo con dell’indesiderato sottosterzo, di certo superiore a quello di fabbrica. Nulla di tragico, ma la cosa mi urta abbastanza per un semplice semplice motivo, il telaio della Rx-8 – derivato in parte dalla Mx-5 NC – è uno di quelli con la T maiuscola, un portento. Il corpo vettura è progressivo, accondiscendente e piantato come una sequoia centenaria: sarà che il Wankel ha un’erogazione graduale e non furiosa ma il telaio si giostrerebbe dormendo altri cento cavalli.
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In percorrenza la Mazda (che a secco non va lontana dai 14 quintali) è posata e neutra, potete affidarvi senza troppe ansie al bilanciamento della giapponese il cui retro allarga difficilmente anche senza controlli, diligentemente concentrato sul generare trazione. Il fatto di dover tenere in tiro quel frenetico triangolo mi costringe a utilizzare spesso il cambio, altro grande pregio della GT del Sol Levante. La trasmissione della Rx-8, pur non raggiungendo gli stratosferici livelli di goduria di una S2000 o di una Type R, ha lo stesso genuino feeling della più piccola Mx-5, è ancora più sciolto e la corsa è similarmente corta. Vorrei qualche brivido in più, lo ammetto, eppure la Rx-8 sta svolgendo il suo ruolo di GT sportiva in maniera ottimale: la posizione di guida è studiata il giusto, l’abitacolo è comodo e gli ammortizzatori – beh, quelli dietro meno – stanno cooperando bene con il perverso asfalto della zona; non è così massacrato da impedirvi di andar forte, ma è un banco prova difficile e rivelatorio per ogni sportiva guidata da queste parti.
La frenata inizialmente gommosa si rassoda man mano che affondate il piede, quindi più andrete forte più apprezzerete il pedale centrale. Con questa scusa chiedo un ultimo sforzo al famigerato Wankel, maltratto il telaio – che resta poco meno imperturbabile di una guardia inglese – e racimolo ogni km/h che la Mazda possa darmi. Il risultato è un saporito minestrone di comfort, giuste prestazioni e rarità. L’Rx-8 non è sconvolgente a livello assoluto, in relazione al suo prezzo invece diventa particolarmente invitante, specialmente perché (nel bene o nel male) una cosa che non potrete mai rimproverarle sarà l’assenza di carattere. Per una cifra contenuta – tra i 10.000 e i 15.000 euro – avrete modo di acquistare una coupé dal look accattivante, con un motore che incuriosirà anche il seminario della vostra città e capace di piacevoli sensazioni di guida. Certo, dovrete donarle più amore di una vecchia Alfa e una vecchia Ducati messe insieme, ma pensare che il proprietario la utilizza come daily (!) potrebbe darvi il coraggio necessario per aprire Autoscout e cominciare la vostra ricerca.
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Un ringraziamento a Simone per la disponibilità
di Tommaso Ferrari