SUPERCAR IN MINIATURA
Aspetto più esotico di una spiaggia di Bali, motore centrale, trazione posteriore e dinamica imprevedibile. Tutti gli ingredienti di una superc… di una Clio!
Sarebbe facile scomodare qualche frase fatta tipo “Ah, non ci sono più le mezze stagioni”, “Ai miei tempi ci si divertiva con poco”, “Il riscaldamento globale sta aumentando” e via dicendo per introdurre quella bomba a mano che è la Clio V6… e infatti farò proprio così, perché è maledettamente vero che non fanno più le auto di una volta. Avanzate oggi un’idea come quella della Clio 3.0 e i progettisti vi guarderanno come se aveste appena proposto di dare fuoco alla regina Elisabetta. Che tristezza. Sfortunatamente è così, le auto moderne fanno a gara a chi sfoggia il tablet più grande al centro del cruscotto, l’optional più inutile o i controlli elettronici più fastidiosi – per non parlare del freno a mano elettronico – dimenticando completamente il lato romantico, creativo e irrazionale che diede vita ad alcune delle sportive più incredibili di sempre. Tocca ringraziare ogni giorno che passa per auto ancora meccaniche e capaci di emozionare, vedi Cayman GT4, Alpine A110, Fiesta ST, Mx-5 ND, Yaris GR… che a dispetto delle noiose normative antinquinamento e di sicurezza nascono per il puro piacere di guida, non per compiacere gli amanti del politically correct. Una volta Renault buttava fuori la Clio V6, ora imbottisce di elettronica la Twingo manco fosse uno smartphone – quando avrebbe avuto una base davvero intrigante – e snatura la Clio RS con troppo peso, cambio automatico, turbo e sintetizzatore del sound. Almeno per oggi ci serve un antidoto, qualcosa che ricordi cosa fosse in grado di fare la casa francese, e quale modo migliore se non festeggiando i 20 anni della Clio più pazza di sempre? Sul serio, pensate bene alla scena (perché non può essere andata tanto diversamente): fine anni ’90, pochi progettisti che si ritrovano a tarda sera, qualche baguette e una cassa di alcolici (o una baguette alcolica?) ad accompagnare la riunione ed ecco che di colpo sembra un’idea geniale cestinare i sedili posteriori di un’utilitaria per infilarci un 3.0 litri V6 da 230 cavalli avvolto dall’estetica di un concept.
Dovevano avere roba forte all’epoca. Ma la cosa più toccante è che ai piani alti non dissero “siete matti, sarebbe difficile da guidare, gli ambientalisti ci insulterebbero, è troppo costosa” bla bla bla, bensì diedero il via libera per una compatta che rivaleggiava con Ferrari e Lamborghini in fatto di stile e carattere, ereditando lo spirito della gloriosa 5 Turbo I. I progettisti furono entusiasti e smaltita la sbornia chiamarono i rinforzi, chiedendo alla Tom Walkinshaw Racing di sobbarcarsi la realizzazione della Clio. Alla TWR (team da corsa responsabile – per citarne alcune – di robetta come Jaguar XJR-9, XJR-15 e XJ220) il progetto sembrò assolutamente normale, ed ecco che al Salone di Parigi del ’98 spunta il primo concept della Clio V6, la cui produzione viene avviata a Marzo 2001. Esteticamente la Clio V6 Phase 1 è ‘leggermente’ diversa dalla tenera compatta che noleggiate quando andate a Parigi: la linea del tetto è più bassa di 120 millimetri, la carrozzeria è stata allargata di 171 (!) millimetri rispetto alla già sportiva Clio 172, la carreggiata posteriore è incrementata di 138 millimetri e davanti ai passaruota posteriori sono state piazzate due enormi prese d’aria per convogliare ossigeno nel motore. I cerchi da 17 (poi 18) pollici riempiono fieramente i passaruota, al retro fanno bella mostra due lucenti scarichi centrali e le maniglie sono nascoste nei solchi delle portiere come in una Ferrari 355; In breve, l’impatto visivo è devastante. Il V6 deriva dall’unità che si trova nella paciosa Laguna, elaborato – nuovi pistoni, rapporto di compressione più elevato, teste lavorate, limitatore più alto etc. – per arrivare a 230 cavalli mentre il telaio è praticamente stravolto per ospitare il sei cilindri dove di solito si trovano dei bambini urlanti. Molto meglio così. La piccola belva tocca i 237 km/h di velocità massima (in una Clio!) con un’accelerazione da 0 a 100 in 6,4 secondi, a sorpresa non tanto dissimile dai 6,7 secondi della 172 Cup.
Un cuore così grande infatti ha un prezzo, quantificato in quasi 300 chili di troppo rispetto alla versione “standard” che ne penalizzano lo scatto; con la Phase 2 si scende ad un ottimo 5,8 secondi grazie a 255 cavalli (che resero la Clio la hot hatch più potente dell’epoca) e a una rapportatura più corta. La V6 che ho tra le mani però è ovviamente l’origine, una Phase 1, precisamente la numero 906 che – come le altre 1.630 della prima serie – è stata prodotta a mano in Svezia dalla TWR anziché a Dieppe come per la Phase 2. C’è un altro particolare che rende unica la Phase 1, il suo handling è famoso per essere… come posso dirlo in modo carino, piuttosto “creativo”. Mettiamola così: grazie al cielo oggi non piove. Anzi, nonostante l’inverno sia alle porte il sole splende, insieme a suggestivi colori autunnali; non che servano alla Clio per spiccare, dato che la V6 attirerebbe l’attenzione anche nel parcheggio di un centro commerciale durante il Black Friday. E’ larga, irrazionalmente larga, muscolosa come Ercole e con un fascino quasi altrettanto mitologico, dopotutto continuate a chiedervi come diavolo siano riusciti a produrla per davvero. Poi però smetto di farmi domande e avvio il motore. Sapete benissimo cosa aspettarvi, ma sentire il ringhio di un V6 in quella che dovrebbe essere una tranquilla utilitaria lascia ugualmente perplessi: è come se aprendo l’armadio di casa vi trovaste a fissare il mondo di Narnia al posto dei vestiti; il vostro cervello faticherebbe ad elaborare la cosa. Il sound è particolarmente raffinato, rabbioso ma anche morbido e armonico, esaltato dal possente sbuffo dell’aspirazione proprio vicino ai sedili. Il segreto di tale concerto è sotto al cofano perché c’è… beh, non c’è niente in realtà. Davanti non trovate nulla se non un baule appena sufficiente a contenere un paio di zaini in scala 1:18, al retro invece scovate l’ingombrante sei cilindri derivato dalla Laguna e – a essere fortunati – giusto lo spazio per infilare un po’ di carta velina.
Meglio non farlo però, potrebbe prendere fuoco dato che il motore scalda come un forno professionale! Lo spazio a bordo è comicamente ristretto, c’è posto per me, il proprietario Umberto e… basta, tutto il resto è occupato dall’assurdo propulsore. Inizialmente me la prendo relativamente comoda con la Clio, godendomi l’abbondanza di coppia e la ripresa, il cambio deciso e soprattutto prendendo le misure. Fa ridere, eppure bisogna guidare la piccola francese come se foste al volante di un’Aventador, ricordando sempre che il retro è molto più largo dell’anteriore, quindi occhio a pennellare il punto di corda col muso perché potreste svangare via una presa d’aria nella foga del momento! Un altro lato buffo prettamente della Clio è il suo raggio di sterzata, talmente senza speranza che un’auto da corsa a confronto ha la manovrabilità di un muletto, strano vero? Senza motore o differenziale a ingombrare il davanti vi aspettate di girare in un fazzoletto, se non fosse che le gomme anteriori con cerchi da 17’’ possono ruotare solamente di qualche grado prima di rischiare di sfregare contro i passaruota. Sembrano tutti difetti, in realtà queste sono peculiarità uniche di un’auto unica, e la fanno apparire ancora più speciale. Dopo un po’ di girovagare giungo finalmente a un punto più guidato dove poter far sfogare come si deve il V6, che reagisce a razzo già sotto i 3.000 giri con una ripresa davvero sorprendente. Il sound si inasprisce, diventa più invadente e la Clio guadagna rapidamente velocità, non come un siluro ma in maniera comunque esilarante se pensate che tecnicamente (molto tecnicamente) state guidando una city car di 20 anni fa. Il cambio contribuisce ad una grossa fetta del coinvolgimento, è solido, virile, con cambiate meccaniche e non troppo pesanti, e la leva è assolutamente precisa; lo uso più spesso del dovuto solo per godermi la sua azione, e per tenere sopra i 4.500 giri il V6 utilizzando ogni goccia delle sue prestazioni.
L’assetto – buono a sapersi – migliora con l’aumentare della velocità riuscendo a tenere a bada sempre meglio l’asfalto copiando le sue cicatrici e assorbendo le buche, che invece a bassa andatura fanno apparire la Renault piuttosto rigida. Non scomoda però, infatti tra la fluida coppia del V6 e la discreta capacità di smorzamento, (oltre alla sesta marcia) potreste tranquillamente utilizzare la Clio tutti i giorni… se naturalmente contate di non trasportare più di un mazzo di carte. L’inserimento in curva (e di nuovo, il vostro cervello deve rifletterci visto che non se lo aspetta da una Clio) è tipico di una vettura a motore centrale, diretto e immediato, specialmente col passo così corto. Ok, non è una 458 Speciale eppure la sensazione è particolarissima e nel misto veloce vi fa divertire non poco. La grossa pecca però è lo sterzo: già gli interni – a contrasto con l’esterno che è una bomba – sono di loro parecchio sciatti, sembra che tutti gli sforzi si siano concentrati sulla carrozzeria e sul motore e per concludere in fretta abbiano lasciato il cruscotto della nonna. I sedili Renault Sport sono più comodi che sportivi, lasciandovi il dispiacere di non avere interni pazzi come l’esterno o come accadde per la 5 Turbo, e il volante è per l’appunto bruttino tanto: tozzo, poco sportivo e neanche troppo comunicativo, minando il senso di connessione tra voi e l’auto. Fortuna che ci pensa il telaio a emozionarvi… . La Phase 1 è famosa per le sue reazioni difficili da gestire e da sovrasterzi improvvisi, e visto che sto infilando curve su curve cercando il limite delle gomme e del retrotreno mi si sta aprendo una visione cristallina di quanto potrei finire nei guai.
La cosa che colpisce inizialmente in realtà è il sottosterzo: con così tanto grip al retro e il muso leggero l’anteriore tende a cedere per primo, solo dopo aver accumulato una velocità di percorrenza notevole; ed è qui che le cose si complicano. Perché quando anche il retro parte – e lo farà prima o poi – lo fa senza preavvisi, cartoline o molliche di pane. Il grip del posteriore è come quando la compagnia idrica si dimentica di dirvi che toglierà l’acqua: prima c’è, di colpo più nulla, e con un passo più corto della vita di una farfalla state certi che non sarà un traverso facile da riprendere. Un telaio così lunatico deve essere un incubo sul bagnato, ma oggi (con asfalto asciutto e relativamente caldo) è intrigante cercare di capire come si comporterà ad ogni curva. Ed eccomi qua, ancora vivo a scrivere questa prova, insieme ad una Clio V6 che non ha minimamente smentito le aspettative: è un progetto meravigliosamente folle, tutt’altro che perfetto ma eccitante già solo per il fatto di esistere. Dinamicamente è più ambigua di una ragazza che vi dice “non ho niente”, ha il raggio di sterzata di un muro, l’abitacolo ha spazio solo per due vittime e un V6 e esteticamente è un’utilitaria che ha preso consigli di workout da Hulk… ma dicono che abbia anche dei difetti. Al giorno d’oggi le prese d’aria della Clio sarebbero finte, gli scarichi pure, e le case non riuscirebbero a disegnare nemmeno un concept del genere, mentre ad inizio 2000 Renault e TWR furono così coraggiose da produrre in serie un’auto tanto azzardata quanto significativa. Ed è per questo – e le emozioni che regala – che non si può non amare la Clio più folle della storia.
Un ringraziamento ad Umberto per la sua bestiola
di Tommaso Ferrari