WINTER IS COMING
Direttamente dal Sol Levante il simbolo dei rally, in una delle versioni più focalizzate di tutte
Viaggiare nel tempo è attualmente impossibile. Spostarsi qua e là nei decenni passati creerebbe non pochi paradossi, mentre per viaggiare nel futuro servirebbe qualcosa di più rapido della luce, e qui anche una Jesko o una Chiron sembrerebbero delle Tata Indica in salita. Dopotutto 300.000 chilometri al secondo sono 300.000 chilometri al secondo, non c’è partita. Ne deduciamo che la teoria della relatività di Einstein sia inattaccabile, niente viaggi nel tempo. Nessuno però l’ha spiegato agli svizzeri. Siamo entrati in una galleria che era metà Settembre – prati verdi, sole, pascoli felici – e ne siamo usciti a Dicembre inoltrato, accecati dal manto di neve candido che ci ha accolti dall’altra parte. Un po’ come l’armadio di Narnia, in stile automobilistico. Fortuna che siamo a bordo di una Impreza STI S204, una rarità JDM che se ne frega altamente delle condizioni meteo. La berlina in Wrc Blue sbuca fuori dalla montagna come se nulla fosse cambiato, l’asfalto in Svizzera è sempre perfetto e la centralina della Subaru registra alla peggio un “Meh, la superficie è solo un po’ più bagnata, dovrò far finta di impegnarmi”.
Cosa che in effetti la Suby fa, lasciando al guidatore l’impressione di percorrere l’asfalto californiano durante un’estate torrida. Invece qui fa freddo, siamo vestiti con maglioni leggeri e pantaloncini e c’è un vento polare. Inoltre noi siamo esseri umani. La giornata era iniziata con qualche goccia di pioggia e un bell’arcobaleno verso Varese, cittadina oltrepassata per raggiungere Ponte Tresa, confine con la Svizzera. Il meteo migliora già da metà mattina lasciando spazio a chiazze azzurre e nuvole meno gravi, così possiamo ammirare i boschi e le spettacolari cascate che affiancano le autostrade svizzere, una manifestazione naturale maestosa; peccato non provare la stessa attrazione per i proibitivi limiti di velocità. Lasciamo l’autostrada all’altezza di Mesocco e iniziamo a salire, curve e controcurve ci scuotono come fossimo in un ciclo rapido di lavatrice portandoci fino ad un benzinaio, assolutamente necessario visto che il serbatoio della Suby è quello di uno zippo. O sembra tale, dati i consumi che farebbero sentire a disagio una Ford GT.
La Svizzera e la sua cultura automobilistica (nonché riccanza) continuano a stupire: oltre a noi il parcheggio è occupato da una RS6 e una Charger, una Boxster Spyder riposa accanto ad una F8 Tributo amaranto e poco prima avevamo incrociato una ‘mai-abbastanza-apprezzata’ Wiesmann MF3. Rifocillato l’EJ20 di benzina ad alti ottani ripartiamo entusiasti alla volta del Passo San Bernardino, una fusione di panorami sconfinati, curve eccitanti e laghetti cristallini. Questi sono i miei ricordi, e quelli mi devo far bastare, vista la doccia fredda che ci aspetta: sbarra giù, San Bernardino chiuso. Gli Svizzeri su queste cose sono molto precisi, eppure nelle ultime ventiquattrore nulla segnalava la chiusura del passo. Ci guardiamo rattristati negli occhi e propongo come alternativa lo Splugen, un serpentone d’asfalto che aggira il confine svizzero per ritornare in provincia di Sondrio.
Avanti veloce, ed ecco che stiamo uscendo meravigliati dalla galleria di prima. In un chilometro e mezzo siamo passati da temperature accettabili – e con prati sgombri da neve e sole – ad un dipinto della Svezia in inverno, come se quel tunnel fosse un qualche marchingegno quantico camuffato nella montagna. Bellissimo. Lo stupore lascia spazio ad una domanda inevitabile: “sarà chiuso anche lo Spluga?”. Ebbene no. La sbarra è alzata, un invito al candido mondo che non ci aspettavamo prima di un paio di mesi, e il traffico è ridotto. Il caratteristico percorso dello Spluga – strettino e tortuoso – sembra un film in bianco e nero, un contrasto tra il lucido asfalto e la neve fresca che avvolge tutto il paesaggio, surreale e silenzioso. Eccezione fatta per una S204 che non si impegna molto a nascondere le proprie elaborazioni. Nata nel 2005 ed erede della S203 la S204 è una Impreza parecchio speciale, una sorta di versione Scuderia per la Ferrari F430: più precisa, cattiva e veloce. Ne sono state prodotte solamente 600, esclusivamente per il Giappone (e quindi con guida a destra), tolte 30 destinate al mercato del sud est asiatico. Il motore EJ20 ha nuovi pistoni e bielle maniacalmente bilanciati, l’albero motore è realizzato con tolleranze invisibili e la potenza sale a 320 cavalli e 432 Nm. I freni recano il marchio Brembo, le sospensioni invece sono state studiate insieme a Yamaha per cooperare con i terreni più rozzi e dissestati.
Esteticamente la S204 spicca per i complessi cerchi BBS da 18’’, lo splitter in carbonio, il finale in titanio e il nuovo spoiler; ciliegina sulla torta i nuovi Recaro in carbonio. L’esemplare di Carlo tuttavia (lo stesso proprietario di questa belva qua) “is no ordinary S204”. E’ stata acquistata presso il famoso importatore inglese HJA e nasconde qualche upgrade sotto al cofano: turbina maggiorata HKS GT3, nuova pompa benzina, airbox in carbonio, Ecu rivista, scarico completo, boost controller e altre aggiunte come assetto HKS Hypermax e strumentazione supplementare. La potenza di fuoco sale a 409 cavalli e oltre 500 Nm, smazzati a delle Federal 595 RS Pro e al cambio a sei marce STI. Tutto bello e ammirevole, ma in cima allo Spluga la temperatura è sotto lo zero, enfatizzata da un vento composto da lamette da barba, il che rende il nostro abbigliamento primaverile meno adeguato delle Federal. Discesa rapida, sosta per ammirare il paesaggio a fondo valle – wow – e dopo poco mi ritrovo sul sedile di destra della Suby, quello del guidatore. Ad essere precisi solo una parte di me si ritrova sul sedile della Suby, perché tutto non ci sto. Non sono la persona più stretta del mondo, ma questi Recaro sono veramente minuti, per incastrarmi decentemente devo restare in maglietta e farmi pressare all’interno dei fianchetti da due o tre passanti volenterosi (ok non è vero, ma rende l’idea). L’ergonomia è un guanto, volante delle dimensioni ideali, pedaliera ben spaziata e cambio a portata di mano. Per una volta su un’auto JDM non confondo le frecce con i tergi, il che mi fa partire già soddisfatto e felice. Appena a valle c’è un luuungo semi rettilineo, un abbondante chilometro e mezzo interrotto solo da una lievissima chicane, e dato che il motore è caldo… tanto vale togliersi ogni dubbio, come strapparsi un cerotto.
La seconda viene divorata dal flat four e dalla rapportatura corta, idem la terza, solo alla quarta riesco a buttare un occhio sul tachimetro, faccio in pieno la chicane e caccio dentro la quinta. D’accordo, va paurosamente forte, i quattrocento cavalli sembrano persino di più. Percorro agile la discesa che al contrario porterebbe al S. Bernardino (anche se è chiuso la parte bassa nel bosco è una manna per guidare) in maniera tale da riprendere abitudine con la guida a destra, anche se oramai ci ho fatto abbastanza il callo. Il cambio è sufficientemente corto, vicino al corpo e schietto; mi ricorda quello della Yaris GR, seppur meno annegato nel WD40 (ovvero con qualche contrasto in più). Le pinze Brembo hanno un gran mordente e pinzano subito, permettendovi delle buone staccate, anche se con le rinnovate prestazioni del motore avrei desiderato ancor più potenza frenante. Altro problemuccio è la quota: la rarefazione dell’ossigeno o vai a sapere cosa ha infastidito l’elettronica, che anziché lasciar andare in pressione la turbina prima dei 3.000 giri – come dovrebbe essere – ci fa aspettare quasi 4.000, come un turbo vecchia scuola.
Il risultato è che intorno ai 3.500 lo scarico sputa fuori botti e detonazioni come un sistema antilag, breve pausa, e bam, il vostro collo si spalma contro il poggiatesta fino a 8.000 giri. L’EJ20 non conosce cali, pensate di essere a 5.000 giri e invece siete già a 7k, vette sconosciute alla marea di noiosi turbo moderni, e ne ha fino ad oltre 8.000 come informa il minaccioso quadrante centrale. Impressionante, peccato la sopracitata attesa all’uscita dei tornanti, due secondi di mitragliate tra gangster e poi le vostre mani si strappano quasi dal volante. Eccitante, non troppo efficace. In curva la trazione è superba, la scocca della Suby non si scompone né flette, resta semplicemente aggrappata all’asfalto, finché possono reggere le Federal. Non sono brutte gomme e il disegno è accattivante, ma hanno una spalla troppo morbida e poco comunicativa, faccio fatica a capire quanto grip abbia ancora a disposizione, e non è bello andare sulla fiducia a 170 all’ora in curva. La S204 non è un’auto con la quale prendere confidenza dopo un paio di curve, selezione meccanica più che naturale.
Dopo una ventina di minuti di guida mi sforzo ad essere più coraggioso riponendo le mie fiducie nella Suby, supero il limite delle Federal che subito viene compensato dai differenziali: quello anteriore cerca in tutti i modi di tenere il muso sulla traiettoria impostata, mentre in sottofondo le 595 urlano, e il retro crea un impercettibile sovrasterzo in uscita di curva. L’inconfondibile timbro del boxer è sovrastato dal nuovo sound dello scarico, grezzo, infastidito, come un pugile pieno di cicatrici e botte che dà libero sfogo al proprio carattere. La Suby non passa inosservata a livello visivo né uditivo, tanto che alcuni gentili turisti si sono già spostati per farmi passare ancor prima di vedermi. Lo sterzo ha una consistenza solida, non è pesante ma nemmeno velato o leggero, l’assetto invece è difficile da capire. In realtà è fantastico, rigido e allo stesso tempo posato, azzera quasi il rollio, solo che non posso comprenderlo a fondo perché siamo in Svizzera, dove l’asfalto ha un che di paradisiaco; non troverei una buca nemmeno se passassi il weekend per strada con un microscopio in mano. Chissà come sarebbe stato con gli ammortizzatori Yamaha originali. Ora mi sto buttando in discesa, all’inseguimento di un conoscente con una Megane RS 265 Cup. Anche lui è uno che guida e la grigiona là davanti è una delle migliori hot hatch di sempre, potete sfruttarla al 110% mentre fischiettate tanta è la fiducia che trasmette. E per assurdo, sto sudando per stargli dietro. Quello che io guadagno in allungo e percorrenza lo perdo ad uscire dai tornanti a causa del problematico lag, 4.000 giri anziché 3.000 significano rimetterci almeno una ventina di metri a curva e dato che non posso tirare nemmeno staccate folli (il proprietario mi ha avvertito che l’olio dei freni messo all’ultimo tagliando non è adeguato) restiamo vicini come con un elastico.
Senza il lag stile Cossie potrei uscire più pulito, progressivo e accelerare prima passando la Megane, così l’esperienza è più violenta e caotica, la coppia della Suby mi investe all’improvviso mettendo a dura prova la trazione che tenta ugualmente di restare impassibile. Nonostante questa guida violenta la S204 è un gran mezzo, grezzo e fisico e allo stesso tempo tecnico, perfezionato per essere ancora più affilato della STI standard. La giostra sta andando avanti da un po’, e non appena sento – come preannunciato – il primo accenno di fading ci fermiamo e facciamo raffreddare l’olio. In effetti dopo l’ultima discesa si è sentito stressato, posso capirlo. La S204 è un’esperienza focosa, da assaporare e da respirare a pieno, utilizzando i neuroni: va compresa prima di ricercarne i limiti, a maggior ragione questo esemplare.
Finiamo gli ultimi scatti e ci fermiamo anche noi a riposare, bevendo birra e cioccolata calda (qualcuno insegni agli svizzeri a farla) in un paesino dal nome impronunciabile. Riaffrontiamo la brezza pomeridiana stavolta scendendo di quota, i prati tornano ad essere colorati e le temperature più adeguate al periodo, e dopo l’ultima sosta al benzinaio tocca salutarci. Ogni sportiva JDM è esotica e curiosa anche solo per la guida a destra, e la S204 conferma questa tesi, ma c’è molto oltre alla specularità giapponese. Il legame tra l’infaticabile trasmissione e l’EJ20, altrettanto solerte nel fare il suo dovere, è una delle parti più vivide dell’esperienza Subaru, e non può esistere senza uno dei due ingredienti. E’ come se John Wick combattesse con dei mattoncini Lego anziché un intero arsenale di armi da fuoco: sarebbe ancora pericoloso, ma non letale per l’intero pianeta. Fosse stata in forma al 100% la rarissima S204 sarebbe stata ancor più devastante, non che così non mi abbia lasciato di sasso per le sue qualità.
di Tommaso Ferrari